Women in prison. Dibattito sulla detenzione femminile. Sintesi, audio e foto
Women in prison. Ripensare il carcere per le donne è possibile
In questo momento le donne in carcere il Italia sono 2.604 a fronte dei 53.623 detenuti attualmente presenti. Questi i dati forniti da Mauro Palma prossimo vice capo dipartimento presso l’amministrazione penitenziaria, che ha preso parte all’incontro “Women in prison. Dibattito sulla condizione carceraria femminile” svoltasi a Roma venerdì 16 gennaio presso Fandango incontro, organizzato da Acat Italia con il supporto della rivista Confronti e del Movimento Rinascita Cristiana. Come la maggior parte degli altri relatori, anche Palma si è mostrato concorde nella necessità di riflettere sulla differenza di genere che persiste anche in carcere, soprattutto in presenza di figli minori che vivono la carcerazioni insieme alla madre; ha inoltre sottolineato come l’amministrazione penitenziaria stia cercando di avviare un dialogo maggiore con le realtà territoriali, cosa che potrebbe risultare funzionale ad un ripensamento della carcerazione femminile puntando di più sulla dimensione delle case protette (Icam- Istituto a custodia attenuata per detenute madri).
E la necessità che questo avvenga nel più breve tempo possibile viene ribadita dalle diverse voci che si susseguono, a partire da quella di Eugenio Selvaggi, ex magistrato, presente in veste di moderatore il quale già in partenza aveva evidenziato come la scarsa presenza di donne avesse sempre portato ad una scarsa attenzione rivolta ai percorsi rieducativi.
Ma spetta alle donne presenti il compito di raccontare la quotidianità delle donne in carcere. Daniela De Robert, presidente di Vic Onlus ( volontari in carcere) sempre partendo da quella differenza di genere riporta l’attenzione sulla presenza dei figli dentro e fuori dal carcere. Emblematica la questione delle telefonate: a ogni detenuta viene concessa una telefonata a settimana di 10 minuti, cosa che molto spesso impedisce a chi è straniera o madre di più figli, di poter parlare serenamente con i famigliari che stanno fuori. Lo stesso valga per la possibilità loro negata di accompagnare i figli al pronto soccorso quando questi stanno male.
A supporto delle diverse posizioni interviene quindi l’interessante studio condotto da Luisa Ravagnani e Carlo Alberto Romano all’interno delle carceri femminili relativo ai vissuti di vittimizzazione delle donne recluse. Dall’indagine emerge infatti come nell’80% dei casi le donne vittime di violenza non abbiano ricevuto alcun tipo di supporto dal tessuto sociale circostante. Si impone quindi la necessità di avviare, sottolinea la Ravagnani, percorsi di giustizia riparativa e in questo gli esempi che giungono dal resto del mondo possono rappresentare validi spunti. Alcuni esempi: nel 2007, la corte di giustizia del Sudafrica ha stabilito che la presenza di donne in carcere rappresenta un danno considerevole anche per la collettività perchè implica il fatto che un figlio sarà costretto a crescere senza madre ( molte indagini dimostrano come la maggior parte dele donne presenti in carcere abbia aviuto a sua volta una madre detenuta); ancora, in India in tempi recenti, vi era stata la proposta di creare all’interno delle carceri femminili, asili nido misti per figli di reclusi, di personale di polizia e degli operatori in modo tale da rompere i meccanismi di esclusione che necessariamente si innescano o ancora, in Inghilterra, esiste la possibilità da parte di figli di detenuti di poter accedere al carcere nel pomeriggio per svolgere i compiti scolastici insieme ai genitori.
Tenendo conto del fatto che le donne recluse in genere si trovano in carcere per reati di bassa pericolosità sociale e nella maggior parte dei casi a supporto della criminalità maschile, immaginare dei modelli differenti appare dunque più che auspicabile e condivisa da parte dei presenti al dibattito.
A Rebibbia femminile qualcosa si sta già facendo a partire dall’attuazione della sorveglianza dinamica– a riferirlo Ida Del Grosso direttrice di Rebibbia femminile, presente al dibattito. Di recente è inoltre partito un progetto interamente dedicato alle donne in stato di gravidanza in maniear tale che siano opportunamente seguite in questa fase così delicata.
La provocazione finale spetta però a Don Sandro Spriano, cappellano di Rebibbia da 25 anni: “ Ma il carcere è davvero necessario? Il vangelo dice di no…”
Secondo Don Spriano oggi il carcere rappresenta soprattutto il luogo dove confinare marginalità ed esclusione, almeno nel 75% dei casi.
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