I veri poteri del Garante dei detenuti
Di Alessandro Monti*
Inadempienti sul fronte della repressione della tortura, non avendo ancora introdotto nel Codice penale un apposito reato, Parlamento e governo hanno deciso di intervenire sul fronte della prevenzione. Un decreto ha dunque istituito presso il ministero della Giustizia il “Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale”, così da rispettare anche gli obblighi discendenti dalla ratifica del Protocollo Opzionale della Convenzione Onu contro la tortura che richiede la creazione di “meccanismi nazionali indipendenti di prevenzione della tortura”.
Rispetto ai Garanti regionali, il nuovo organismo, nominato con decreto del capo dello Stato e su parere delle commissioni parlamentari, si caratterizza per l’uniformità delle garanzie a tutela dei diritti dei detenuti, estese all’intero territorio nazionale. Il legislatore ha però disegnato una figura istituzionale inconsueta, un incrocio tra autorità indipendente e ufficio ministeriale dotato di autonomia, che ha richiesto oltre due anni per divenire operante.
Solo a marzo si è arrivati alla nomina del presidente del collegio del Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, già presidente del Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa (Ctp) a Strasburgo e dell’Ong Antigone, e de gli altri dei due membri, Emilia Rossi e Daniela De Robert. Il ministro della Giustizia, tenuto a fornire risorse umane e finanziarie senza aggravi per la finanza pubblica, si è limitato ad assegnargli fino a 25 unità del proprio organico e 200mila euro. Sarà comunque cruciale la sistematicità dei controlli sulle modalità di esecuzione della custodia, tanto dei soggetti detenuti, tanto di quelli internati o sottoposti a misura cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà, per verificare il rispetto dei diritti e della dignità della persona.
Strumenti chiave sono visite e monitoraggi senza necessità di alcuna autorizzazione, preavviso e restrizione: 31 al 22 luglio. E non solo ai penitenziari ma anche alle residenze per le misure di sicurezza psichiatriche e alle altre strutture destinate ad accogliere detenuti, alle comunità terapeutiche o comunque alle strutture, anche mobili, ove si trovino persone sottoposte a misure alternative al carcere. Nel caso di flagrante violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”), il Garante deve informare l’autorità competente perché provveda immediatamente a fermare la violazione in atto.
Finora ignorata dai media, la nuova istituzione merita invece particolare attenzione e sostegno: nonostante sia priva di poteri diretti d’intervento e armata di meri rilievi e raccomandazioni, la sua autorevolezza e imparzialità potrebbero avere effetti dirompenti sul clima opaco di omertà, prevaricazioni, violenze fisiche e psichiche che, nei luoghi di detenzione, è alimentato da chi sfrutta lo stato di soggezione e vulnerabilità delle persone private della libertà.
Per assumere la funzione prioritaria che gli assegna il Protocollo Onu, di deterrente alla tortura e di punto di riferimento nazionale contro ogni forma di abuso sui detenuti, restano però determinanti regolarità e trasparenza dell’operato del Garante, tenuto a pubblicare sul proprio sito l’esito di visite e monitoraggi e il Rapporto annuale sui risultati dell’azione svolta, da trasmettere innanzitutto al presidente della Repubblica che lo ha nominato.
*Professore ordinario senior di Politica economica presso la Facoltà dì Giurisprudenza dell’Università di Camerino e Presidente della Commissione per il Premio di Laurea di Acat Italia.
(Articolo pubblicato su Il Fatto quotidiano in data 5 agosto 2016)