10 OTTOBRE 2016-Giornata Mondiale contro la Pena di Morte

“L’esecuzione capitale è uno strumento del terrorismo – Fermiamo il ciclo della violenza”
La Coalizione Mondiale Contro la Pena di Morte, composta da più di 140 ONG, avvocati, gruppi locali e sindacati, è nata a Roma il 13 maggio 2002 allo scopo di promuovere a livello internazionale la lotta contro la pena di morte e raggiungerne l’abolizione universale.  La Coalizione ha scelto il 10 ottobre come giornata mondiale contro la pena di morte  e dal 2003 aiuta gli abolizionisti di tutto il mondo a riunirsi con un messaggio comune in vista dell’abolizione universale.
 
Qualche dato per conoscere la situazione nel mondo:
– Se nel 1977 solo 16 stati avevano abolito la pena di morte, attualmente sono 140, quasi i due terzi dei paesi del mondo; tuttavia, ora la minaccia del terrorismo ha indotto alcuni paesi, come ad esempio  la Nigeria, il Bangladesh, l’India, la Tunisia, ad adottare leggi che ampliano il campo di applicazione della pena di morte in relazione ad atti di terrorismo.
– 65 sono i paesi che mantengono la pena di morte nella loro legislazione anche per crimini di terrorismo
– In 15 paesi almeno una persona è stata condannata a morte e la pena eseguita per crimini legati al terrorismo negli ultimi dieci anni.
 
Dall’inizio degli anni ’60 le Nazioni Unite hanno elaborato 19 strumenti giuridici internazionali nell’ambito della lotta al terrorismo ma nessuno di questi offre una definizione di terrorismo.
La comunità internazionale non ha ancora raggiunto un accordo su una definizione  giuridica globale del  terrorismo malgrado i diversi tentativi fatti, lasciando così che il terrorismo sia un concetto indefinito nel diritto internazionale.
La pena di morte per terrorismo  non è un fenomeno del tutto nuovo: in Afghanistan e in Pakistan esiste da più di 10 anni mentre in Cina, Egitto, Ciad e Tunisia le leggi in tal senso sono state adottate fra il 2015 e il 2016 anche se nella loro legislazione era già prevista la pena capitale per alcuni delitti.
 
Il Ciad ha eseguito, subito dopo l’approvazione della legge antiterrorismo, una sentenza di morte, mentre, l’ultima esecuzione risaliva al 2003; in Pakistan le condanne a morte eseguite si erano fermate nel 2008
Il diritto internazionale rifiuta la pena di morte con la sola eccezione per i “delitti più gravi” ovvero l’omicidio volontario, quindi tutti i crimini legati al terrorismo che non rientrano in questa categoria sono da considerare in violazione del diritto internazionale.
Come reazione alla minaccia del terrorismo molti paesi hanno adottato o modificato le loro leggi al riguardo. Queste misure appaiono connotate da un forte valore simbolico in quanto forniscono ai governi una risposta facile e veloce alla minaccia terroristica e riescono a convincere le popolazioni della loro apparente  efficacia.
 
I paesi che nella loro legislazione hanno introdotto la pena di morte per terrorismo hanno proceduto per motivi politici e non giuridici.
Questa utilizzazione politica della pena di morte per atti di terrorismo da parte dei governi, oltre a non essere efficace rischia di essere strumentalizzata dai terroristi stessi  che, a loro volta, utilizzando la violenza della risposta degli stati, possono così erigersi a martiri e giustificare le future azioni. La pena di morte rischia così di accrescere gli estremismi e la violenza.
 
Le leggi nazionali antiterrorismo raramente sono in linea con le leggi internazionali sui Diritti Umani.
La definizione stessa di terrorismo varia molto da paese a paese e l’uso della pena di morte per punire tali atti e’ del tutto arbitrario.
In effetti, la  mancanza di una definizione univoca di terrorismo nelle leggi internazionali porta a una grande varietà di atteggiamenti e di punizioni, per esempio in alcuni paesi anche parlare apertamente e impegnarsi in azioni non violente può essere considerato atto terroristico punibile con la pena capitale.
 
Le condanne a morte per terrorismo sono spesso pronunciate dopo processi frettolosi e iniqui da tribunali militari o speciali, le confessioni sono estorte in stato di soggezione o tortura e il diritto di appello non e’ rispettato.
E’ il caso del Ciad dove dieci persone sospettate di appartenere a Boko  Haram accusate di aver eseguito un attentato costato la vita a 38 persone sono state giustiziate il 29 agosto 2015, tre giorni dopo la sentenza, senza possibilità di presentare appello o domanda di grazia. La legge antiterrorismo era stata adottata meno di un mese prima.
 
La pena di morte non costituisce un deterrente per i crimini comuni, ancora meno nel caso di atti terroristici. I terroristi sono disposti a farsi saltare in aria, cercano il martirio e non si fanno certo impressionare da leggi che prevedono la pena capitale.
Contrariamente a quanto si e’ spesso proclamato, non tutte le vittime di atti terroristici o le loro famiglie chiedono la pena di morte come risarcimento delle sofferenze subite. Molti, anzi, ritengono che l’uccisione di un terrorista non porti alcuna giustizia e non chiuda la spirale di violenza che dovrebbe essere interrotta piuttosto che perpetuata all’infinito.
E’ possibile, invece, e anche più efficace combattere il terrorismo adottando misure che siano al tempo stesso pienamente rispettose dei diritti umani e del ruolo della legge, in particolare creando un clima di fiducia tra lo Stato e il popolo sotto la sua giurisdizione.  E’ quanto auspica Ben Emmerson, attuale Rapporteur  ONU per i diritti umani.