Giugno 2017: Vietnam-Tunisia

Vietnam: Segregata in regime di isolamento da oltre sette mesi
L’Acat è molto preoccupata per la sorte di una blogger detenuta incommunicado da 200 giorni a rischio di tortura. La blogger Nguyen Ngoc Nhu Quynh, meglio nota come Me Nam, è stata arrestata il 10 ottobre 2016 a casa sua. È accusata di ” diffusione di propaganda contro la repubblica socialista del Vietnam”, crimine che prevede fino a venti anni di prigione. Nel suo blog aveva denunciato il modo in cui le autorità avevano affrontato l’inquinamento causato dalla fuoriuscita massiccia di prodotti chimici degli stabilimenti siderurgici della Formosa Ha Tinh Steel Corporation con la morte di migliaia di tonnellate di pesci sulla costa centrale del Vietnam.
 
Secondo il rapporto della polizia, la sua pagina Facebook conteneva 400 articoli nei quali diffondeva ” una visione pessimistica e unilaterale volta a suscitare confusione nei lettori facendo venir meno la fiducia nello Stato.” Secondo altri blogger, il suo arresto ha un preciso scopo intimidatorio volto a dissuadere le persone dall’ esprimersi liberamente. Dopo 7 mesi di detenzione, Me Nam non è stata ancora autorizzata a ricevere le visite dei suoi familiari ivi compresi i suoi due bambini e ancor meno quelle del suo avvocato, palese violazione questa del diritto a un giusto processo. Il rischio di maltrattamenti e tortura nei confronti dei dissidenti è purtroppo reale nella detenzione incommunicado in Vietnam.
 
Me Nam è una blogger molto nota per il suo impegno nel campo dei diritti umani, ha anche ricevuto parecchi premi compreso il prestigioso International Women of Courage Awards 2017 conferito dal Segretariato di Stato americano. Il Vietnam ha ratificato la Convenzione contro la tortura nel febbraio 2015 ma non ha ancora ottemperato alle disposizioni previste dalla convenzione e non riconosce ancora la competenza del Comitato contro la tortura. L’arresto di Me Nam avviene in un contesto più vasto di repressione delle voci dissidenti. Dalla primavera 2016, decine di blogger e di difensori dei diritti umani sono stati arrestati e detenuti con la scusa della sicurezza nazionale.
 
Le autorità usano sistematicamente gli articoli del codice penale per imprigionare arbitrariamente i dissidenti. Parecchi militanti dei diritti umani sono intimiditi, perseguitati, aggrediti o imprigionati. Emblematico anche il caso di Le My Hanh, ambientalista che ha preso posizione contro lo scandalo di Formosa, aggredita e malmenata pesantemente due volte nel corso di un mese. Il filmato dell’aggressione è stato messo su Facebook, l’autore ha minacciato di far subire la stessa sorte a chiunque si opponga alle politiche del governo. Il partito comunista al potere è l’unico partito in Vietnam e cerca in tutti i modi di far tacere le voci critiche del suo operato.
 
Tunisia: avvocatessa punita per l’aiuto alle vittime di tortura.
Il 10 maggio 2017, Najet Laabidi, avvocato difensore dei diritti dell’uomo è stata condannata a sei mesi di prigione per aver diffamato una magistrata del tribunale militare, Leïla Hammami. Questa condanna sembra in realtà essere una punizione per il suo sostegno alle vittime di tortura. Il 4 dicembre 2015, giorno nel quale dovevano essere ascoltati nell’inchiesta per oltraggio due avvocati hanno reso dichiarazioni che accusavano il tribunale di parzialità nella questione Barraket Essahel.
 
Laabidi avrebbe dichiarato che la magistrata Hammami aveva « incassato », oltre a imputarle decisioni favorevoli al precedente direttore della Sicurezza dello Stato, accusato di tortura. L’avvocata afferma che le sue parole riguardavano tutta l’istituzione giudiziaria da lei considerata corrotta.. Queste parole sono state filmate e diffuse in rete. Hammami ha sporto denuncia per diffamazione. Il 1° febbraio 2016, Laabidi è stata convocata da un giudice istruttore ma poi non ha più saputo nulla di questa accusa fino a quando dalla polizia è stata informata della condanna a un anno di prigione il 12 ottobre 2016. Ha fatto opposizione e il tribunale di Tunisi ha ridotto la pena a sei mesi a seguito di una procedura segnata da irregolarità. Il tribunale non ha verificato se le accuse rivolte dall’avvocata Laabidi avrebbe rivolto contro la magistrata Hammami fossero vere. Questa verifica avrebbe dovuto precedere la procedura di diffamazione. Si tratta di uno sviluppo preoccupante nel contesto segnato dall’impunità per i crimini di tortura.
 
La questione Barraket Essahel riguarda un gruppo di ufficiali dell’esercito arrestati nel 1991 accusati di aver fomentato un colpo di stato contro il presidente Ben Ali. Sono stati torturati e alcuni sono stati condannati a pesanti pene detentive a seguito di un iniquo processo. Tutti hanno visto spezzate le loro carriere e hanno subito persecuzioni anche le loro famiglie per anni. Dopo la rivoluzione, molti di loro hanno sporto denuncia. La questione è stata affidata alla giustizia militare e le vittime hanno coinvolto molti militari ma questi non sono stati ascoltati come testimoni. Malgrado la gravità delle sevizie e dei postumi, i torturatori sono stati perseguiti solo per un semplice delitto di violenza.
 
Dopo un processo segnato da numerose irregolarità denunciate dagli avvocati fra i quali Laabidi, il tribunale militare ha condannato gli accusati con pene di tre o quattro anni di prigione ridotte in appello. Condanna di Laabidi La condanna a sei mesi di prigione presenta vizi di procedura di vario genere e discordanza fra le date, il processo-verbale del giudice istruttore dell’inchiesta per diffamazione afferma che Laabidi ha firmato e poi che ha rifiutato di firmare, mentre questa poi non era neanche presente all’audizione.