Diritti umani questi sconosciuti, report degli incontri

REPORT PRIMO CICLO 
Il primo ciclo di incontri del nostro progetto scuole Diritti umani questi sconosciuti si è svolto dal 2 marzo al 4 aprile 2018 ed ha coinvolto le classi IV D, IV A, IV F, IV C dell’IIS Salvini (sede di via Caposile, 1). 
Abbiamo proposto agli studenti un percorso simile che si è andato sviluppando in modo autonomo e originale all’interno di ogni classe: stiamo seguendo un metodo di didattica circolare, basato sull’interazione costante, che permette ad ogni gruppo di intervenire in maniera attiva e indirizzarci verso temi specifici e peculiari.
 
Nel corso di ogni incontro (della durata di due ore) abbiamo fornito alle classi informazioni riguardanti le attività di FIACAT e di ACAT Italia, i contenuti del progetto e le tappe attraverso cui si sta articolando. Dopo questa fase preliminare, abbiamo indagato insieme agli studenti i contesti culturali e storici al cui interno – nel corso del tempo – si è sviluppata la nozione di diritti umani, e ci siamo soffermati su alcuni di essi.
 
Inoltre nel corso della prima ora abbiamo chiesto agli studenti di rispondere a due domande: ogni risposta è stata scritta su un foglio in maniera rigorosamente anonima.
 
Al termine dei quattro incontri abbiamo raggruppato in macro-temi le risposte ricevute, in modo da poter individuare le eventuali ricorsività (ricorrenze di affermazioni simili tra loro). Per il momento stiamo soffermando la nostra attenzione solo sulla prima delle due domande: “Qual è il primo esempio di violazione dei diritti umani che ti viene in mente?”.
 
Di seguito le risposte accorpate in macro-temi e precedute dall’indicazione numerica delle ricorsività:
 
15 libertà di espressione e di pensiero
 
14 razzismo
 
12 violenza di genere
 
12 libertà
 
10 diritto alla vita (al cui interno sono comprese anche salute, povertà, integrità fisica)
 
9 abuso di potere (al cui interno sono comprese tortura e pena di morte)
 
8 schiavitù
 
5 discriminazioni
 
3 diritto allo studio
 
3 dignità
 
3 minaccia
 
2 privacy.
 
La seconda ora è stata dedicata all’analisi critica – svolta in gruppo attraverso una modalità del tipo focus group – di alcuni aspetti strettamente connessi ai diritti umani: legalità e giustizia morale (esempio: la pena di morte è legalmente ammessa nei paesi in cui viene praticata, ma la percepiamo come moralmente ingiusta); violazione di alcuni diritti umani in nome della salvaguardia di un altro diritto umano (esempio: la tutela del diritto alla sicurezza può portare l’opinione pubblica a giustificare il ricorso alla tortura durante gli interrogatori); individuazione di possibili sotto-temi in cui declinare il macro-tema “diritti umani” (esempio: diritti umani e media, diritti umani e spettacolo, diritti umani nei manuali scolastici, diritti umani e salute psico-fisica).
 
Nel corso di ogni focus group abbiamo proposto come parola di partenza sicurezza: le reazioni del gruppo classe ci hanno traghettati verso la sponda opposta, quella del pericolo; in due casi il focus è proseguito verso l’indagine del concetto di minoranza, mentre in altri due casi ci siamo soffermati sulle retoriche discorsive relative al pericolo e alla sicurezza.
 
Al termine di ogni incontro abbiamo stilato un resoconto dell’andamento del focus: la comparazione tra tutti i focus realizzati ci permette di presentare i seguenti risultati parziali e provvisori (dal momento che la nostra ricerca è ancora in corso d’opera).
 
Sicurezza. Cercando di definire concretamente in quali occasioni ci si senta in una condizione di sicurezza, gli studenti hanno proposto un’elevata quantità di risposte eterogenee; abbiamo provato a raggrupparle provvisoriamente in: tutele e garanzie esterne (la legge, le forze dell’ordine, figure importanti); strumenti attraverso cui è possibile implementare e rendere operativa la sicurezza (infrastrutture, armi, oggetti di protezione); comportamenti agiti individualmente e autonomamente (prevenzione, prudenza); condizione di benessere (tranquillità, stabilità economica, garanzie igieniche, luoghi protetti). Al termine di uno dei focus è emersa la proposta di distinguere tra sicurezza direttamente percepita dai soggetti e stereotipi di sicurezza veicolati attraverso retoriche mediatiche.
 
Pericolo. A partire dalle affermazioni secondo cui la sicurezza consisterebbe nell’assenza di pericolo (una risposta che è emersa in modo ricorrente nel corso della prima parte del focus), abbiamo proposto come secondo ambito di indagine il pericolo e la paura. Tra gli esempi di pericolo maggiormente citati ricorrono: episodi di piccola, media e alta criminalità; attentati terroristici; discriminazioni e violenze di genere; incidenti stradali; la solitudine; animali che provocano pericolo e paura (serpenti, ragni); la morte.
 
A partire dalle risposte che hanno messo in luce il ruolo di animali generalmente considerati ripugnanti, abbiamo proposto una riflessione sulle pratiche discorsive di pseudo-speciazione (cfr Scheper-Hughes): come mostrano anche Livio Pepino, René Girard, Arjun Appadurai, Cristina Vargas, Roberto Escobar e Alessandro Dal Lago (cfr bibliografia in fondo al documento), nel corso di dinamiche noi contro loro è frequente il ricorso ad appellativi che mettono in risalto la natura – presunta tale – non umana dei gruppi sociali da cui si considera necessario difendersi. È il caso dello straniero inteso sia come migrante, sia soprattutto nel suo senso metaforico di figura irrimediabilmente altra e contaminante: un outsider – marginale per condizione o per scelta – che viene spesso identificato attraverso un vocabolario della ripugnanza che si basa sulle dicotomie puro/impuro, pulito/sporco (cfr Mary Douglas, 1966) in cui spesso compaiono anche esemplari faunistici considerati allo stesso tempo risultato e causa della sporcizia e della malattia (esempi: spazzatura, scarto, rifiuto, topo, zecca, pulce).
 
Prima di procedere oltre è opportuno sottolineare (con Cristina Vargas e René Girard) la profonda dimensione collettiva e sociale di risposte apparentemente intimistiche come la solitudine e la morte sulle quali ci esprimeremo nel corso degli approfondimenti successivi.
 
Come nel caso della sicurezza, anche nel caso del pericolo è emersa la percezione di una duplice dimensione interna e esterna: il pericolo può essere provocato non solo da un comportamento scorretto altrui, ma anche dalla propria distrazione o disattenzione.
 
Nella fase conclusiva di questa parte del focus ogni classe ha analizzato alcuni aspetti della questione e ne ha proposto possibili interpretazioni: è emerso come il pericolo possa essere individuato ovunque dal momento che ognuno di noi non sarebbe esente dall’aver commesso piccoli gesti criminali o violenti (anche non considerati reato, come la mancanza di rispetto) e che quindi tutto possa essere rappresentato come fonte di pericolo, soprattutto ciò che è nuovo, ignoto o noto solo tramite pregiudizi. A partire da queste ultime affermazioni ci siamo dirottati verso una terza fase del focus group: cos’è una minoranza?
 
Minoranze. I più hanno risposto che minoranza è ciò che è diverso e stona o chi è in condizione di inferiorità numerico-quantitativa ed è non conforme. Tra gli esempi di minoranze ci sono stati proposti: minoranza etnica; le persone migranti; orientamenti minoritari di pensiero, di credo religioso, di genere; la disabilità psico-fisica; l’analfabetismo; i diritti; le persone buone. Nella conclusione del focus inoltre alcuni studenti hanno riflettuto sul fatto che le minoranze non esisterebbero di per sé, ma sarebbero il prodotto di meccanismi e processi sociali (nelle loro parole mentalità e tendenze sociali) attraverso cui le minoranze vengono considerate e presentate come tali.
 
REPORT SECONDO CICLO
Il 12 e il 24 aprile 2018 si è svolto il secondo ciclo di incontri del nostro progetto pilota Diritti umani, questi sconosciuti: abbiamo avuto il piacere di ospitare Valentina Calderone (A buon diritto) come relatrice.
Grazie all’esperienza di Valentina e della sua associazione abbiamo approfondito il tema della tortura da un punto di vista giuridico: la presidente di A buon diritto ha fornito agli studenti un panorama completo del sistema normativo internazionale volto alla prevenzione e alla tutela dalle pratiche di tortura e abuso di potere; in seguito si è soffermata su un excursus delle vicissitudini relative al lunghissimo iter dell’introduzione del reato di tortura nel codice penale italiano e alle controversie e dibattiti che lo hanno caratterizzato.
 
Anche in queste occasioni abbiamo mantenuto il metodo di didattica circolare e dialogica che – perlomeno nelle nostre intenzioni – dovrebbe caratterizzare l’intero percorso: grazie a questa prospettiva di interazione docente-discente è possibile lasciare che ogni gruppo classe declini il tema proposto indirizzandolo verso sentieri originali e imprevedibili. Con Valentina Calderone abbiamo constatato quanto – a differenza di luoghi comuni che vorrebbero “i giovani” irrimediabilmente apatici e indifferenti – gli studenti siano stati disponibili e generosi non solo nel lasciarsi coinvolgere emotivamente in modo molto profondo, ma anche a condividere con noi e con la classe le loro riflessioni a caldo, le loro perplessità, trovando il coraggio di esprimere anche opinioni contrastanti rispetto alle nostre e di farlo con intelligenza e rispetto.
Giunti a metà del nostro percorso possiamo constatare quanto una didattica circolare possa essere preziosa sia per i suoi destinatari sia per chi è “in cattedra”: ognuno può imparare dagli altri, e sentiamo davvero di poter dire che questi studenti ci stanno insegnando tanto.
Di seguito forniamo un resoconto sintetico del percorso classe per classe, per cercare di rendere percepibili le sfumature che lo hanno ridefinito e reindirizzato di volta in volta.
 
12 aprile: IV C
Dopo la presentazione (comune a tutte le classi) che abbiamo esposto precedentemente, Valentina Calderone ha presentato alla classe alcuni casi esemplari di tortura o di abuso: Giulio Regeni, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi, Davide Bifolco.
Le considerazioni degli studenti si possono raggruppare (generalizzandole un poco) in questi ambiti: monopolio dell’uso legittimo della forza (i pubblici ufficiali sono persone cui affidiamo la nostra sicurezza hanno detto alcuni); possono esserci dei casi in cui è ammissibile ricorrere alla tortura? (gli esempi che ci sono stati fatti riguardano tutti crimini di stampo terroristico); condizioni psichiche di chi pratica la tortura (una delle espressioni – che ricorre anche nelle altre classi – è stata se stai bene di mente non fai tortura).
 
24 aprile: IV F
In questa occasione Valentina Calderone ha proposto agli studenti un confronto storico tra le pratiche di tortura e delazione dell’Inquisizione e quelle del nostro presente (ricordiamo che su questa comparazione si basa anche gran parte dell’argomentazione di René Girard relativa all’individuazione, espulsione o eliminazione del capro espiatorio). Un presente che è stato rappresentato sia da eventi di risonanza internazionale (le torture ad Abu Grahib, le condizioni di detenzione in Libia) sia da tre recenti vicende italiane: il G8 di Genova 2001 (con le scuole Diaz e la caserma di Genova Bolzaneto); i fatti del carcere di Asti del 2004; la morte di Francesco Mastrogiovanni nel 2009.
A seguito delle domande di alcuni studenti, inoltre Valentina Calderone si è soffermata a spiegare il percorso di democratizzazione delle forze dell’ordine a seguito del quale sono stati individuati corpi militari (come i Carabinieri) e corpi civili (come la Polizia di Stato), con obiettivi e approcci che dovrebbero essere differenti tra loro. 
Anche in questo caso alcuni studenti ci hanno chiesto se sia possibile legittimare – come non giusto, ma necessario – il ricorso alla tortura in casi di criminalità particolarmente gravi (ancora una volta l’esempio fornitoci è il terrorismo).
 
24 aprile: IV A
L’incipit proposto da Valentina Calderone è stato simile a quello delle altre due classi. 
Nel corso del dialogo con la classe ci siamo soffermati a riflettere su molti aspetti, ne riportiamo alcuni: gli studenti hanno avviato un dibattito che vedeva da un lato la preoccupazione sugli eventuali effetti collaterali che il reato di tortura potrebbe avere per i tutori dell’ordine pubblico (è la teoria secondo cui il reato di tortura “legherebbe le mani” alle forze dell’ordine), e dall’altro l’importanza che l’introduzione del reato può avere per garantire una corretta interpretazione del ruolo di “detentori legittimi del monopolio della forza”. 
In particolare ci soffermiamo sulle considerazioni di alcuni studenti che hanno ribadito l’inutilità e l’inefficacia della tortura come (presunto) metodo di indagine (non è che se mi picchi esce qualcosa hanno detto) e che hanno avuto la lungimiranza di estendere le conseguenze nefaste di questa pratica all’intero corpo sociale: è violenza psicologica contro un paese, mettono paura alla società.
Alcuni studenti hanno precisato come la pratica della tortura si basi sul presupposto che la persona cui viene inflitta sia considerata dai suoi aguzzini come una “non persona” (cfr Dal Lago 1999, Beneduce 2008, Scheper-Hughes 2005) nelle loro parole non ritieni che sia una persona.
Nel corso dell’incontro infine ci viene posta una domanda importante: cosa possiamo fare?
 
REPORT TERZO CICLO
Il 4 maggio 2018 si è svolto il terzo incontro del nostro progetto pilota Diritti umani, questi sconosciuti. Si è trattato di un incontro davvero speciale: il nostro relatore ospite è stato Rudra Bianzino.
Per l’occasione abbiamo preferito (di comune accordo con Rudra Bianzino) accorpare le quattro classi e ringraziamo anche il corpo docenti dell’IIS Salvini di via Caposile per averci messo a disposizione l’aula LIM. Scrivere un resoconto di questo incontro non è compito semplice. Una platea di circa settanta tra studenti e docenti attentissima e silenziosissima: Rudra Bianzino ha raccontato in modo molto chiaro e dettagliato la sua storia, una storia brevissima – come dice lui stesso – iniziata il 12 ottobre 2007 e conclusasi due giorni dopo con la morte del padre, Aldo Bianzino. 
 
Questo ragazzo giovanissimo ha mostrato di avere la maturità e la generosità enormi di spiegare in modo semplice ed equilibrato quello che è allo stesso tempo uno dei tristi emblemi delle falle del sistema carcerario che ci coinvolge tutti in quanto membri della società civile e dello Stato, e una dolorosissima esperienza personale. 
Ci ha permesso così di concentrare la nostra attenzione su un singolo evento concreto capace purtroppo di rappresentarne molti altri.
Rudra Bianzino non si è limitato a raccontare la storia della sua famiglia: ha spiegato alle classi in cosa consista all’atto pratico il lungo percorso intrapreso per chiedere verità e giustizia per Aldo Bianzino. Si è soffermato sui risvolti giuridici e mediatici di queste vere e proprie battaglie, lotte volte a ristabilire un’effettiva democraticità nelle istituzioni che avrebbero il mandato di tutelarla: proprio per questo la morte in carcere di Aldo Bianzino non può essere considerata esclusivamente “la storia di Rudra”, ma è al contempo una dolorosa vicenda personale e una vergognosa e antidemocratica vicenda collettiva che ci riguarda tutti come corpo sociale e come famiglia umana.
 
Nel corso dell’incontro è stata sollevata una sola domanda: come è accaduto anche a noi – che avevamo preparato tante domande, per poi cancellarle mentre lo ascoltavamo parlare – le emozioni a volte prendono il sopravvento e ci rendono difficile commentare o aggiungere qualcosa alla semplice e preziosa essenza di un racconto di vita concreta. Eppure, una volta concluso l’incontro un capannello di studenti ha avvolto Rudra Bianzino: chi domandava, chi ascoltava in silenzio, molte strette di mano e soprattutto molta solidarietà.
Proprio come per gli studenti è stato difficile porre domande nel corso dell’incontro, è difficile per noi aggiungere qualcosa in questa stesura. Speriamo che l’emozione non ci abbia traditi troppo e che ci abbia permesso di presentare efficacemente Rudra Bianzino alle classi; ma quell’emozione è anche la prova di una solidarietà sincera e profonda che rinnoviamo ancora una volta ad un giovane e coraggiosissimo ragazzo che ha avuto – ed ha – la forza di farsi avvocato, medico legale, giornalista di se stesso, e di insegnarci cosa significhi democrazia: condivisione, partecipazione, ascolto e, lo ripetiamo ancora una volta, solidarietà.
 
 
Bibliografia di riferimento:
 
Arjun Appadurai, Sicuri da morire. La violenza nell’epoca della globalizzazione, Milano, Meltemi, 2017
 
Marc Augé, La guerra dei sogni. Esercizi di etno-fiction, Milano, Elèuthera, 1997
 
Valerio Callieri, Teorema dell’incompletezza, Milano, Feltrinelli, 2017
 
Alessandro Dal Lago, Non-persone: l’esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli, 1999
 
Alessandro Dal Lago – Serena Giordano, Graffiti. Arte e ordine pubblico Bologna, Il Mulino, 2016
 
Mary Douglas Purity and Danger. An analysis of concepts of pollution and taboo, London and New York, Routledge, 1966
 
Roberto Escobar, Paura e libertà, Perugia, Morlacchi Editore, 2009
 
René Girard, Miti d’origine. Persecuzioni e ordine culturale, Milano, Feltrinelli, 2005
 
Livio Pepino, Prove di paura. Barbari, marginali, ribelli, Torino, Edizioni Gruppo Abele ONLUS, 2015
 
Nancy Scheper-Hughes, Questioni di coscienza. Antropologia e genocidio, in: Fabio Dei (a cura di), Antropologia della violenza, Roma, Edizioni Meltemi, 2005 p. 247-302
 
Cristina Vargas, La quotidianita e la guerra. Violenza statale e parastatale nel conflitto colombiano, in: «Antropologia», anno 8¸ 2008, n. 9-10. Numero coordinato da R. Beneduce: “Violenza”, p. 215-235