GIUGNO 2019: ARABIA SAUDITA-VIETNAM

ARABIA SAUDITA: Rischia la pena capitale per aver guidato una protesta pacifica a 13 anni
Murtaja Qureiris, da poco diventato diciottenne e in carcere da quando ne aveva 13, potrebbe essere condannato a morte quanto prima per aver guidato una protesta pacifica di coetanei  in bicicletta nel 2011. All’epoca Murtaja aveva 11 anni.
La denuncia arriva dalle organizzazioni saudite per i diritti umani basate all’estero, allertate dalla famiglia del ragazzo, che hanno fornito all’emittente televisiva americana CNN informazioni e un video in cui si vede il ragazzo alla guida di un gruppo di bambini festanti in bicicletta che chiedono più diritti. Murtaja, di religione sciita, proviene da una famiglia nota alle autorità per l’impegno nel campo dei diritti umani in particolare per la difesa dei diritti delle minoranze sciite.
È stato arrestato nel 2014 mentre tentava di passare in Bahrein con la famiglia, accusato di aver protestato contro il governo, di aver assistito a un crimine che secondo le autorità sarebbe stato commesso dal fratello maggiore, poi ucciso durante una manifestazione repressa con la forza dalla polizia, e infine di aver partecipato al suo funerale. Nessuna di queste accuse è stata formalizzata, tuttavia risulta che è stata chiesta la pena di morte seguita dalla crocifissione. L’unica speranza è che la risonanza che sta avendo il caso a livello internazionale, sia per la denuncia della CNN, sia per l’appello lanciato da Amnesty International a cui si sono aggiunte le voci di altre ONG, possa spingere le autorità a un gesto di clemenza o quanto meno a fornire prove inconfutabili della sua colpevolezza anche se, da una denuncia del gruppo di lavoro dell’ONU specializzato in detenzioni arbitrarie, risulta che gli erano state estorte confessioni sotto tortura.
In effetti, dal momento del suo arresto è stato tenuto in isolamento, picchiato e  sottoposto a sevizie varie. Ha potuto incontrare un avvocato solo lo scorso agosto in occasione della prima udienza del Tribunale Penale speciale, Tribunale istituito nel 2008 per giudicare casi di terrorismo e che si occupa prevalentemente di attivisti dei diritti umani. Dal 2014 il Tribunale ha giudicato oltre cento caso di attivisti sciiti, parecchi dei quali sono stati condannati a morte per aver partecipato a manifestazioni pacifiche di protesta.
ACAT Italia unisce la sua voce a quella delle altre organizzazioni chiedendo che venga cancellata la condanna a morte di questo ragazzo che, all’epoca dei fatti, era solo un bambino di 11 anni.
Ricordiamo che nel 2018 ben 149 persone sono state giustiziate in Arabia Saudita e il 23 aprile 2019 ci sono state 37 esecuzioni capitali in un solo giorno, un ben triste primato. La maggior parte era di religione sciita.
*Aggiornamento: Secondo dichiarazioni rilasciate da un funzionario saudita all’egenzia di stampa Reuters in data 16 giugno, Murtaja Qureiris, non verrà giustiziato ma tenuto in carcere e poi rilasciato nel 2022. Ci auguriamo che questa informazione corrisponda a verità e non sia semplicemente un modo per placare le mobilitazioni partite un po’ ovunque in seguito alla circolazione della notizia. Per quanto dunque il caso paia essere risolto non abbassiamo la guardia e facciamo sentire la nostra voce e la nostra vicinanza al giovane Murtaja perchè non ci sia alcun passo indietro.
VIETNAM: Sciopero della fame di due difensori dei D.U.
I difensori dei diritti umani Nguyen Bac Truyen e Hoang Duc Binh  sono in sciopero della fame dal  13 maggio 2019 per protestare contro il trattamento cui è sottoposto un altro prigioniero di coscienza, Nguyen Van Hoa, di 24 anni che sta scontando  7 anni di prigione per aver pubblicato dei video di manifestazioni legate allo scandalo di Formosa. Vittima   di torture è stato posto in isolamento, evidente rappresaglie per la sua ricerca della verità sulle sue condizioni di detenzione.
Il 28 maggio 2019, Nguyen Van Hoa  ha potuto vedere sua sorella. Dopo due settimane in isolamento e in seguito a percosse è stato  trasferito in un’altra sezione della prigione  di An Diem. Ciò significa che egli resterà in isolamento e sarà ormai separato dagli altri prigionieri d’opinione che lo difendevano e cercavano di proteggerlo. Le autorità lo hanno avvertito che per altri sei mesi sarebbe restato in isolamento e che sarebbe incorso in misure disciplinari se avesse continuato a violare il regolamento della prigione ovvero essere incatenato a terra.
La sua nuova cella misura circa 4 m2. Le rare uscite autorizzate nel piccolo cortile dipendono dalla buona volontà delle guardie e dal suo buon comportamento. Nguyen Bac Truyen, che divideva con lui la cella l’aveva aiutato a scrivere le due denunce di torture depositate presso la prigione  di An Diem e del centro di detenzione di Ha Tinh. Esperto giuridico e difensore della libertà di culto e di coscienza, Nguyen Bac Truyen offriva prima della sua condanna a 11 anni di prigione assistenza giuridica gratuita alle vittime d’esproprio di terre e militava per una democrazia multipartitica.
E’ sostenuto nel suo sciopero della fame dal blogger Hoang Duc Binh, che sconta una pena de 14 anni di prigione per aver condiviso delle  informazioni sullo scandalo di Formosa. Senza  notizie  di Nguyen Van Hoa, essi continuano a chiedere alle autorità di cessare i maltrattamenti nei suoi confronti .
Lo sciopero della fame è la sola risorsa dei prigionieri di coscienza di fronte all’impossibilità di ricorsi alla legge.
Lo scandalo di Formosa riguarda il disastro ambientale provocato dell’azienda taiwanese Formosa Group, che ha colpito le province centrali-settentrionali del Paese nell’aprile del 2018 e ha sollevato grande scandalo e indignazione.
È stata, la peggiore fuoriuscita di sostanze chimiche da un’acciaieria straniera nella storia del Vietnam: una tubatura appartenente alla compagnia taiwanese Formosa Plastic Group aveva riversato ogni giorno 12 mila metri cubi di liquido tossico nelle acque del mare. Il disastro ecologico ha causato la morte di 70 tonnellate di pesce e messo in ginocchio la popolazione delle province centrali. 250 km di costa hanno subito gravissimi danni ambientali e oltre 40 mila pescatori vietnamiti hanno perso il lavoro.
In un accordo siglato tra la Formosa e funzionari governativi senza udienza pubblica, Hanoi aveva accettato un risarcimento di 500 milioni di dollari americani dalla società per conto delle vittime. Quei fondi non sono mai stati distribuiti.