Il reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano e nella dimensione sovranazionale
Pubblichiamo di seguito un abstract dalla tesi di Matilde Botto ritenuta meritevole di menzione da parte della Commissione giudicatrice del Premio di Laurea Acat Italia 2019
Il reato di tortura nell’ordinamento giuridico italiano e nella dimensione sovranazionale
di Matilde Botto
Il significato etimologico del termine “tortura”, dal latino torquere, rievoca l’immagine di un atto disumano, che piega, contorce, distrugge, annienta la persona: la uccide, appunto, pur lasciandola in vita. Un’azione tanto abominevole non può che qualificarsi come necessariamente antitetica rispetto ai principi fondamentali della Costituzione del 1948 che riservano alla persona – alla sua dignità – assoluta centralità. Fino al 14 luglio 2017, l’ordinamento italiano risultava privo di un reato ad hoc volto a criminalizzare specificatamente la tortura. Posta come assunto di partenza l’importanza di ribadire la necessità del divieto e della repressione della tortura, la domanda che guida l’intero elaborato è: il legislatore ha posto realmente fine a quel “rumoroso silenzio” dettato dall’assenza del reato di tortura nel codice penale italiano? Oppure, i tratti problematici della nuova fattispecie rischiano di vanificarne la portata? L’analisi proposta inizia dallo studio delle fonti internazionali, nella consapevolezza che dalla loro conoscenza è possibile estrapolare spunti e principi utili al fine di studiare la (nuova) normativa penale interna.
Il 3 novembre 1988 l’Italia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti del 1984: l’intervallo, di circa un trentennio, che separa la ratifica della suddetta Convenzione dal menzionato 14 luglio, ha visto il succedersi di molte sollecitazioni rivolte da parte di soggetti internazionali al legislatore italiano, allo scopo di indurlo ad introdurre un’adeguata incriminazione della tortura. La seconda parte dell’elaborato è dedicata al contesto sovranazionale: in particolare, alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in materia di divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), con specifica attenzione all’affaire Cestaro. Infatti, da una parte le linee direttrici della pronuncia della Corte EDU, relativa a tale vicenda, sono state una fondamentale sollecitazione per l’introduzione del reato ad hoc; dall’altra, i loro contenuti si delineano come parametri di raffronto interessanti ai fini dell’analisi della formulazione del delitto adottata dal legislatore nel 2017.
Il terzo capitolo afferisce all’analisi dei due reati introdotti con la legge 14 luglio 2017, n. 110 (con specifica attenzione al primo): il delitto di tortura (art. 613 bis c.p.) e il successivo reato di istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura (art. 613 ter c.p.). Rilevata la natura costituzionale del divieto e della repressione penale della tortura, il reato di cui all’art. 613 bis c.p. è studiato nei suoi singoli elementi soggettivi e oggettivi, con attenzione ai profili problematici nell’ottica di individuare le possibili vie percorribili da una futura prassi giurisprudenziale. L’elaborato si conclude con un capitolo dalla struttura “tripartita”: dopo aver ripercorso le modifiche procedurali, introdotte dalla novella del 2017 (art. 191.2bis c.p.p.), l’attenzione è rivolta allo studio del rapporto tra divieto di tortura e non refoulement. Infine, nell’ultima sezione, viene presentato il pericoloso dibattito giusfilosofico contemporaneo, che mira a proporre istanze per la legalizzazione della tortura: l’illustrazione delle tesi consentirà di individuare le rispettive antitesi, evidenziando le fallacie argomentative, sia da un punto di vista filosofico che giuridico.