GENNAIO 2020: EGITTO-RDC

EGITTO: In cella sottoterra da 11 mesi per critiche al governo
Liberare immediatamente Eman Al-Helw e Hossam Ahmed arrestati il 28 febbraio 2019
I due sono stati arrestati per aver criticato il governo egiziano e da allora sono tenuti in una cella sotterranea.
Eman Al-Helw è un’attrice e attivista egiziana. Hossam Ahmed è transessuale. Entrambi arrestati il 28 febbraio 2019 insieme ad ad altre settanta persone sono stati dapprima imprigionati in una località segreta per quattro giorni prima di comparire davanti al giudice accusati di appartenere a un gruppo terroristico e di usare internet per commettere un crimine punibile dalla legge.
Il 4 dicembre 2019, la Corte Criminale del Cairo li aveva liberati con misure cautelative ma il Pubblico Ministero aveva fatto ricorso e i due sono stati rimandati in prigione dove tuttora si trovano in detenzione preventiva e sottoposti ad assurde persecuzioni.
Il 18 marzo, la direzione carceraria ha costretto Eman Al-Helw contro la sua volontà a sottoporsi a una visita medica approfondita anche delle parti intime. Stesso procedimento per Hossam, tenuto prigioniero nel reparto femminile della stazione di polizia di Abdeen, costretto a subire umiliazioni continue da parte delle compagne di cella e dei loro visitatori. Dal punto di vista medico, le visite cui sono stati sottoposti sono del tutto ingiustificate e superflue e costituiscono una violazione della loro intimità oltre che un’aggressione fisica e psicologica.
Purtroppo in Egitto la situazione dei diritti umani va sempre più deteriorandosi, come appare evidente anche dalla detenzione arbitraria di oltre 3000 persone che hanno preso parte a pacifiche dimostrazioni lo scorso ottobre. In questo contesto, la situazione degli omosessuali è notevolmente peggiorata, anche se la legge non criminalizza esplicitamente i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso tuttavia l’atteggiamento nei loro confronti è nettamente persecutorio: detenzione preventiva prolungata, processi rinviati a lunga scadenza, maltrattamenti, tortura e visite mediche forzate e umilianti sono la norma.
REP. DEMOCRATICA DEL CONGO: Un massacro dimenticato da 9 anni
Il 1° ottobre 2010, l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani pubblicava il “Rapporto Mapping” sui gravi crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo (R.D.C.) dal 1993 al 2003, cioè negli ultimi anni del potere di Mobutu e durante le due guerre del 1996-1997 e del 1998-2002.
In 581 pagine, il rapporto presenta oltre 600 casi di massacri commessi contro i rifugiati Hutu ruandesi e la popolazione civile congolese. Particolarmente drammatico è il racconto degli attacchi ai campi dei rifugiati Hutu ruandesi durante la prima guerra. Il rapporto rivela massacri di massa in cui venivano barbaramente uccise, per fucilazione, all’arma bianca o a colpi di zappe sulla testa, centinaia di civili per volta, compresi donne, bambini, anziani e malati.
Quanti i morti di questo sanguinoso decennio? L’ONG statunitense IRC ha valutato che tra il 2 agosto 1998 e l’aprile 2004 circa cinque milioni e quattrocentomila persone sono morte in Congo a causa della guerra, per violenze e stenti.
Dopo aver ascoltato e raccolto le testimonianze dei superstiti, il rapporto arriva a concludere:
«La vastità dei crimini, il numero delle vittime, l’ampio uso di armi bianche (per lo più machete e martelli) e il massacro sistematico dei sopravvissuti, tra cui donne e bambini, dopo aver attaccato i campi di accoglienza sono elementi che dimostrano che i molti morti non possono essere attribuiti alle conseguenze della guerra o considerati come danni collaterali. Gli attacchi sistematici e generalizzati, che hanno colpito un gran numero di rifugiati hutu ruandesi e membri della popolazione civile hutu e che hanno causato la loro morte, rivelano una serie di elementi inequivocabili che, se confermati davanti a un tribunale competente, potrebbero essere qualificati di genocidio».
Secondo il Rapporto, è necessario che i mandanti e gli esecutori dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di genocidio rendano conto dei loro atti davanti alla giustizia.
L’istituzione di un Tribunale Penale Internazionale per il Congo viene considerata troppo costosa e poco efficace, in quanto potrebbe affrontare un numero limitato di casi. Pertanto, il Rapporto propone la creazione di tribunali specializzati misti (con la presenza temporanea di personale internazionale) in seno al sistema giudiziario congolese. Questa seconda possibilità avrebbe il vantaggio di usufruire di strutture già esistenti e contribuirebbe alla riforma e al miglioramento del sistema giudiziario congolese. In questa linea, nel mese di agosto, il Ministro congolese della Giustizia, Emmanuel Luzolo Bambi, ha presentato in Parlamento un disegno di legge sulla creazione di “Tribunali Speciali”, per esaminare tutti i casi relativi ai crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi dal 1990