Rapporto Mapping: le violenze ignorate per anni nella RDC*
Nel rapporto Mapping, frutto di una inchiesta condotta sotto l’egida dell’Alto Commissariato dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite fra il 2007 e il 2009, vengono denunciate le violenze e i crimini di guerra che per diversi anni hanno insanguinato i territori del Congo, del Ruanda, dello Zaire. Tuttavia questo rapporto, documento fondamentale per la lotta all’impunità, giace dimenticato da un decennio negli uffici delle Nazioni Unite. Il rapporto costituisce un inventario delle gravi e drammatiche violazioni dei diritti umani nominando esplicitamente nomi delle vittime luoghi e date dei fatti fra il 1993 e il 2003. Più di 4 milioni di congolesi trovarono la morte nel corso del conflitto, più di 40.000 donne e bambine furono vittime di stupri e circa 3 milioni furono i profughi.
L’équipe ha lavorato, sul campo, per ricostruire almeno i grandi assi della storia di quel terribile decennio 1993-2003 nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Fare memoria di coloro che sono stati schiacciati dalla guerra, anche citando semplicemente il loro numero, significa impedire che muoiano due volte, che la loro morte sia banalizzata, significa volere che da questa tragedia possano emergere degli insegnamenti e delle piste di impegno per l’avvenire.
L’importanza del documento può essere letta sotto diversi punti di vista:
umanitario: un popolo è stato annientato e distrutto in guerre che hanno avuto i civili, congolesi o rifugiati, come principale bersaglio, perché erano disarmati.
economico: il rapporto conferma ancora una volta che queste guerre avevano come scopo primario lo sfruttamento delle risorse della RDC (minerarie, territoriali, agricole, le infrastrutture e i beni degli abitanti).
mediatico: queste guerre sono passate quasi inosservate o mal percepite, come conflitti puramente etnici,
sociologico e antropologico: cos’è che fa esplodere una tale violenza in popolazioni che vivevano in pace, nonostante le normali tensioni che gli anziani del villaggio risolvevano attraverso il dialogo? Dal momento in cui ciò che è accaduto non è specifico all’Africa, ma ad ogni contesto di guerra, chi è quell’essere umano che può fare della sofferenza dell’altro la sua gioia? Tuttavia, va notato anche che, in pieno temporale, c’è stato anche chi è stato capace di porre gesti di fraternità, fino ad esporre la sua propria vita, accogliendo uno straniero, difendendo un oppresso. Ci sarebbe anche questa storia positiva da ricostruire, come il rapporto stesso lascia, a tratti, intravedere.
religioso: tutte le religioni possono interrogarsi a partire da questo documento, rispetto al passato e rispetto alla loro azione attuale. Che cosa significa servire veramente la persona, un popolo?
politico: Quali erano i progetti politici nascosti che l’hanno scatenato? Quali sono stati i vuoti, le letargie, le complicità che hanno permesso che dieci anni siano passati così e che, fino ad oggi, per molta gente dell’est della RDC la guerra non sia ancora finita? Leggere questo rapporto significa appassionarsi maggiormente alla ricerca delle cause, alla lotta contro le radici nascoste di questi avvenimenti.
Dalla sua pubblicazione nell’ottobre 2010 il rapporto Mapping, pur essendo stato richiamato esplicitamente da Denis Mukwege in occasione della consegna del premio Nobel il 10 dicembre 2018, non ha avuto nessun esito concreto.
È giunto il tempo di condividere con l’Africa non i resti della nostra tavola, ma la sete di verità, di giustizia e di dignità per una pace vera.
Elisa Tittoni
da un testo di C. Boursin su “Humains”
di ACAT France
*Tratto dal Corriere di gennaio 2020