FEBBRAIO 2020: PAKISTAN-COLOMBIA
PAKISTAN: condannato a morte per blasfemia l’accademico Junaid Hafeez
Junaid Hafeez, accademico pakistano di 33 anni dell’università Bahauddin Zakariya della città di Multan arrestato il 13 marzo 2014 con l’accusa di aver postato su Facebook commenti denigratori sul profeta Maometto, è stato condannato a morte il 21 dicembre 2019. Accusato anche di aver invitato lo scrittore britannico di origini pakistane Qaisra Shahraz a partecipare a una conferenza dove avrebbe pronunciato frasi blasfeme contro l’Islam è stato tenuto in isolamento dal momento del suo arresto.
Il processo per blasfemia nei suoi confronti è durato ben sei anni, caratterizzato da molti rinvii e dall’alternanza di ben sette giudici diversi oltre che dalla sostituzione forzata dell’avvocato difensore. Il primo avvocato, infatti, era stato costretto a rinunciare al caso per le minacce di morte che aveva ricevuto e il secondo, Rashid Rheman, minacciato in aula dai capi religiosi e da altri avvocati per aver assunto la difesa del giovane, è stato assassinato nel suo studio nel 2014. Da allora, il processo è stato tenuto a porte chiuse in un carcere di massima sicurezza a Multan, senza che la pubblica accusa e i testimoni arrivassero a produrre prove inconfutabili della sua colpevolezza. L’attuale difensore, anche lui minacciato di morte, si era detto certo che Hafeez sarebbe stato scarcerato ma così non è stato, il suo caso purtroppo è diventato emblematico sia per la virulenza degli estremisti religiosi sia per le caratteristiche del tormentato processo.
Una fonte che ha voluto restare anonima ha dichiarato che al difensore di Hafeez prima del verdetto era stato richiesto di non presentarsi alla prigione in caso di assoluzione per timore della reazione violenta della folla e che comunque era stato studiato un piano per mettere al sicuro il prigioniero. Tutto inutile comunque, perché i tribunali pakistani molto difficilmente rilasciano persone accusate di blasfemia. La famiglia del giovane ha dichiarato che il giudice ha emesso la condanna a morte spinto dalla paura, ignorando la mancanza di prove, come dimostrato anche dalla colpevole inazione nel ricercare e punire gli uccisori del suo avvocato.
Per il giovane ricercatore si stanno muovendo tutte le associazioni per i diritti umani, uniamo anche noi la nostra voce invocando la sua liberazione.
COLOMBIA: Difensori dei diritti umani minacciati di morte
Il 15 gennaio 2020, un lungo elenco di persone e organizzazioni coinvolte nella difesa dei diritti umani in Colombia ha ricevuto in rete minacce di morte dal gruppo paramilitare Águilas Negras (Aquile nere). Fra di loro i difensori dell’accordo di pace, delle vittime del conflitto armato (in particolare donne, mutilati e membri delle comunità indigene e afro colombiane) e della restituzione delle terre e anche personalità politiche di sinistra. Particolari minacce sono state rivolte a Patricia Linares, avvocato e presidente della Giurisdizione speciale per la pace (JSP), e Pilar Rueda Jimenez, coordinatrice dell’équipe che si occupa delle questioni di genere nell’ambito dell’Unità d’investigazione e accusa della JSP, e dell’ONG Collettivo di avvocati «José Alvear Restrepo » (CAJAR), membro della Coalizione colombiana contro la tortura (CCCT).
Nel loro comunicato i paramilitari proclamano: «I leader sociali saranno uccisi senza pietà ovunque si trovino in casa, nel loro ufficio in strada o in luoghi pubblici. » Una ricompensa di 8 000 euro è promessa per ogni assassinio d’una persona indicata nell’elenco. Si annunciano anche «torture, rapimenti, sparizioni, mutilazioni, smembramenti come esempio per mettere a tacere chi intendesse protestare o denunciare per ritardare lo sviluppo del paese». Infine, viene annunciato un primo semestre sanguinoso del 2020 per tutti i difensori dei diritti umani in Colombia.
Il conflitto interno in atto da più di 50 anni, ha fatto circa 9 milioni di vittime fra sparizioni forzate, rapimenti, torture e stupri.
Il primo dicembre 2016, un accordo di pace fra lo Stato e le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) principale movimento di guerriglia del paese è stato ratificato prevedendo fra l’altro il cessate il fuoco e la consegna delle armi da parte dei guerriglieri, dei paramilitari e delle organizzazioni criminali e l’amnistia per i delitti politici ma processi penali per crimini di guerra e contro l’umanità da parte della Giurisdizione speciale di pace. Tuttavia l’applicazione degli accordi è in difficoltà, non tutti sono favorevoli. Il presidente Ivan Duque eletto nel giugno 2018 proveniente dalla destra radicale è sempre stato ostile all’accordo firmato dal suo predecessore. Nessun accordo di pace è stato siglato con l’Armata di liberazione nazionale (ELN) e da quella parte le violenze sono continuate. La polizia reprime nel sangue le manifestazioni sociali (nel novembre 2019 122 feriti e 3 morti fra i civili)
Gruppi paramilitari di estrema destra teoricamente smobilitati nel 2005 sono invece molto attivi arricchendosi con il narcotraffico. Secondo l’ONU la Colombia è uno dei paesi più pericolosi per i difensori dei diritti umani.