APRILE 2020: ANGOLA
Il 16 aprile 2015, muniti di un mandato di arresto, elementi della polizia di intervento rapido (PIR) sbarcano all’accampamento di José Julino Kalupeteka, leader della chiesa «Luz do Mundo», situata nella zona di Sao Pedro Sumé (detto Montes Sumé). Cercano di convincerlo ad arrendersi, ma quest’ultimo si rifiuta di essere ammanettato davanti ai suoi fedeli. Molti di loro intervengono e uno dei poliziotti fa fuoco, scatenando le prime violenze che fanno diversi morti tra le forze dell’ordine. Gli elementi del PIR iniziano a sparare a caso a tutti i seguaci. Durante due settimane, una vasta operazione di rappresaglia è condotta contro i membri della chiesa, accusati di atto di guerra contro le autorità: una vera caccia all’uomo sotto la supervisione di un rappresentante dei servizi dello Stato.
Un massacro passato sotto silenzio
Dopo 38 anni di governo con gravi violazioni dei diritti umani, José Eduardo dos Santos ha lasciato il potere. Il suo successore João Lourenço, presidente dal settembre 2017, ha mostrato segni di cambiamento: le violenze sembrano essere diminuite in numero e alcuni dei responsabili gerarchici delle forze sospettate di estorsione sono stati allontanati dai loro posti. Resta da affrontare l’impunità: stabilire la verità sui crimini commessi sotto il vecchio regime e rendere giustizia alle vittime. Durante il massacro di Montes Sumé, le autorità avevano contato 22 morti, di cui 9 poliziotti, ma l’opposizione aveva evocato fino a mille vittime. Il Presidente João Lourenço, in occasione della commemorazione dei cinque anni di questo massacro, dovrebbe chiedere l’apertura di un’inchiesta giudiziaria su questi fatti.
Finora solo alcuni membri della chiesa sono stati condannati a pene detentive. Nell’aprile 2016 José Julino Kalupeteka è stato condannato a 28 anni di carcere a seguito di un processo farsa. Secondo il codice penale, la pena massima detentiva in Angola è di 24 anni.
Le vittime di questa tragedia commemorano ogni anno, in segreto e in silenzio, questi fatti avvenuti cinque anni fa.
L’ACAT chiede che verità e giustizia, diritti riconosciuti internazionalmente per le vittime, siano resi. Gli autori di gravi violazioni dei diritti umani devono essere processati e condannati per gli atti illegali commessi
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