Burundi, nuovo Governo vecchi metodi?
Di seguito una nostra analisi sull’attuale situazione in Burundi in seguito al cambio di governo avvenuto a metà dello scorso anno. Oggi su Faro di Roma preceduta dalla competente introduzione di Fulvio Beltrami.
Il 24 dicembre 2020, con una mossa a sorpresa, il nuovo presidente del Burundi, Évariste Ndayishimiye, decide di concedere la grazia a Christine Kamikazi, Agnès Ndirubusa, Egide Harerimana e Térence Mpozenzi, giornalisti di Iwacu, uno dei pochi mezzi di informazione rimasti indipendenti nel paese. I 4 erano stati arrestati il 22 ottobre 2019 e condannati a due anni e mezzo di reclusione a seguito di un procedimento giudiziario iniquo.
L’accusa? Un copione ampiamente riproposto: “minaccia alla sicurezza dello stato”. A ottobre dello scorso anno ben 65 organizzazioni, fra cui anche la FIACAT (Federazione internazionale delle ACAT) si erano mobilitate per chiedere il loro rilascio, sottolineando come l’arresto arbitrario dei 4 giornalisti fosse ancora una volta un monito rivolto a quanti, nel paese, cercano di esercitare il diritto alla libertà di pensiero e informazione.
La mossa del neo presidente, agli occhi di alcuni commentatori avrebbe cercato di marcare un cambio di passo rispetto al vecchio regime, dimostrando così, alle potenze occidentali la buona volontà in materia di tutela dei diritti umani.
Segno di un cambiamento reale? Secondo Armel Niyongere, attuale presidente di ACAT Burundi, non esattamente: “ Francamente finora, non abbiamo assistito ad alcun cambiamento rispetto al precedente regime: le massicce violazioni dei diritti umani continuano ad essere perpetrate nell’impunità più assoluta.” Sostiene.
“Quando parliamo di violazioni intendiamo nello specifico – spiega- attacchi al diritto alla vita, rapimenti e / o sparizioni forzate, violenza sessuale basata sul genere, tortura, arresti arbitrari e detenzioni, principalmente contro membri di partiti politici dell’opposizione, tra gli altri quelli del Consiglio nazionale per la libertà ( CNL), ex militari delle ex FAB (Burundian Armed Forces) o ex poliziotti e giovani di etnia tutsi. Questi atti sono regolarmente commessi da membri della milizia Imbonerakure, affiliata al partito di governo CNDD FDD, agenti di polizia, agenti del National Intelligence Service (SNR) e membri amministrativi dello stesso partito. Difatti, solo nel 2020, le organizzazioni della società civile, in un rapporto reso pubblico lo scorso dicembre, hanno registrato 368 omicidi (cioè almeno 1 omicidio al giorno), in diverse circostanze, 182 casi di tortura, 59 rapimenti a volte seguiti da omicidi o sparizioni forzate, 821 arresti arbitrari e 33 casi di violenza sessuale contro donne e ragazze. Tutte violazioni vengono commesse impunemente.”
Armel Niyongere, come gli altri membri di ACAT Burundi, vive in esilio ormai dal 2015, da quando l’ex Ministro dell’Interno decise di bandire quattro organizzazioni attive nella difesa dei diritti umani, ciononostante, continua a monitorare e denunciare i crimini perpetrati nel paese.
Nel dettagliato rapporto , reso pubblico a dicembre dello scorso anno e redatto da ben 15 organizzazioni, emerge dunque il ritratto di un paese profondamente martoriato e deluso da un illusorio cambio ai vertici.
A solo titolo esemplificativo è sufficiente guardare il bollettino delle violazioni registrate nei primi 100 giorni ( a partire dal 18 giugno) della nuova presidenza, da parte della Ligue Iteka, storica organizzazione burundese per la difesa dei diritti umani: 203 persone uccise, di cui 78 cadaveri trovati abbandonati in luoghi differenti, 16 persone prelevate con la forza, 28 vittime di violenza sessuale, 44 torturati e 417 arresti arbitrari. Numeri che marcano l’orrore, ma che il Governo bolla come non veritieri continuando, come il precedente, la campagna volta a screditare i difensori dei diritti umani.
Germain Rukuki ancora in carcere
A tal proposito, continua ad essere rappresentativo il caso di Germain Rukuki, membro di ACAT Burundi, impiegato presso l’Associazione dei giuristi cattolici del Burundi e presidente di Njabutsa Tujane (Associazione di lotta contro la povertà).
Germain è stato arrestato il 13 luglio 2017 nel suo domicilio di Bujumbura e nell’aprile 2018, condannato a 32 anni di reclusione per capi d’imputazione molto pesanti: attacco contro il capo dello Stato, ribellione, partecipazione a un movimento insurrezionale e attentato alla sicurezza interna dello Stato. Una delle pene più severe inflitte a un difensore dei diritti umani, anche in questo caso, un monito per tutti gli altri.
Il procedimento a carico di Germain è stato contrassegnato fin dall’inizio da una serie di irregolarità procedurali e dalla flagrante violazione del suo diritto a un equo processo, tanto che, a giugno 2020, la Corte Suprema ha deciso di annullare la sentenza della Corte d’appello accettando così il ricorso presentato dalla difesa. Si attende ancora la data della nuova udienza.
I ripetuti appelli che in questi anni la FIACAT, le ACAT tutte e molte ONG hanno rivolto alle istituzioni burundesi ( compreso l’ultimo del dicembre 2020 ) e alla comunità internazionale non hanno sortito gli effetti sperati. Germain si trova in carcere ormai da tre anni e in tutto questo periodo, è stato anche privato della possibilità di vedere la sua famiglia.
Il ruolo della Comunità internazionale
A settembre dello scorso anno, la Commissione di inchiesta voluta dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU ha presentato il suo II Rapporto. In esso viene più volte sottolineato come il tratto saliente e maggiormente preoccupante sia dato dalla continua e perdurante restrizione dello spazio democratico all’interno del paese dato anche dalla concentrazione del potere nelle mani dei soli esponenti del partito di Governo ( molti facenti parte del vecchio establishment e responsabili di molteplici violazioni già nel 2015) mentre, di contro, i partiti di opposizione, la stampa e la società civile vengono messi a tacere. La condizione di assoluta impunità, sostiene il rapporto, che copre i responsabili di crimini contro i diritti umani continua poi a marcare la totale continuità tra vecchio e nuovo Governo.
C’è da augurarsi che il rinnovo del mandato alla Commissione per un altro anno, deciso lo scorso ottobre, possa servire a tenere accesi i riflettori su un paese dove i crimini contro i diritti umani sono all’ordine del giorno e, come auspicato dalle organizzazioni burundesi spinga i vecchi e nuovi partner del Burundi a esercitare la loro influenza per costringere i decisori politici a un reale cambio di passo e al rispetto dei principi sanciti dalla Costituzione oltre che dai trattati internazionali sottoscritti.
Ma un ruolo importante spetta anche alla società civile, rimarca Massimo Corti, presidente di ACAT Italia. “E’ necessario che ONG e associazioni, da ogni parte del mondo, continuino a far sentire la propria voce e la propria vicinanza a chi dentro e fuori il Burundi lotta per i diritti umani e al popolo burundese tutto.”