Burundi, via le sanzioni. Nessun progresso per i diritti umani


Malgrado le promesse iniziali di migliorare la situazione dei diritti umani nel paese devastato da anni di repressione violenta e di ristabilire lo stato di diritto, fatte del presidente burundese Evariste Ndayshimiye al momento della sua elezione nel 2020, la democrazia resta ancora un miraggio e continuano le gravi violazioni dei diritti umani.
Dal 2015 il Burundi versa in una grave crisi politica con conseguente restrizione delle libertà personali e pubbliche. La crisi ha avuto origine con la controversa candidatura del presidente Pierre Nkurunziza a un terzo mandato giudicato incostituzionale dall’opposizione e da una gran parte della società civile. Gli esponenti della società civile che hanno documentato e denunciato le violenze sono diventati il bersaglio di intimidazioni, violenze e minacce di morte. La repressione si è particolarmente accanita contro i giornalisti indipendenti e gli oppositori politici fatti oggetto di aggressioni fisiche e persecuzione giudiziaria per aver denunciato il non rispetto degli accordi di Arusha per la pace e la riconciliazione, la volontà del presidente di restare al potere e le violenze perpetrate dal regime e dalle forze di polizia per tacitare i dissidenti.

Nel novembre 2015, il procuratore generale ha provveduto alla chiusura di una dozzina di conti bancari appartenenti a organizzazioni della società civile e nel 2016 il ministro dell’interno ha radiato le più importanti ONG attive nella difesa dei diritti umani. Tra queste, l’ACAT Burundi sospesa il 23 novembre 2015 e poi definitivamente radiata il 24 ottobre 2016 e il suo presidente Germain Rukuki imprigionato. Da allora la ACAT Burundi vive e lavora in esilio.

L’aumento delle violenze, delle sparizioni forzate e delle intimidazioni ha fatto sì che parecchi difensori dei diritti umani e giornalisti indipendenti abbiano scelto la via dell’esilio, molti di loro in Ruanda, altri in Europa.

Un cambiamento di facciata.
In seguito alla morte del presidente Nkurunziza nel 2020, ascende al potere Evaristo Ndayeshimiye, appartenente allo stesso partito politico.
Le promesse fatte al momento del suo insediamento e la liberazione degli ultimi giornalisti e difensori dei diritti umani erano un segnale che aveva fatto ben sperare. Tra queste liberazioni ricordiamo quella di Germain Rukuki, della ACAT Burundi, avvenuta nel luglio 2021: era stato condannato a 32 anni di detenzione; anche ACAT Italia, come tutte le altre ACAT, si era attivata per la sua liberazione.

Invece, la situazione generale non mostra un grande cambiamento, le libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione sono tuttora ben lungi dall’essere un diritto riconosciuto e il clima di paura che ha soffocato il paese in tutti questi anni non accenna a diminuire. Il diritto a un giusto processo è disatteso così come i diritti della difesa. I funzionari dello stato e gli agenti della polizia responsabili di crimini non sono stati perseguiti e continuano a godere di una totale impunità. Non c’ è la volontà politica di riaprire i dossier, accertare la verità e rendere giustizia alle vittime.

Sui difensori dei diritti umani e i giornalisti indipendenti burundesi in esilio che continuano nella loro opera di denuncia dei soprusi pende tuttora la condanna all’ergastolo, emessa dalla Corte Suprema del Burundi il 23 giugno 2020 per “insurrezione” e “organizzazione di colpo di stato”, relativamente al colpo di stato del maggio 2015.

Procedura giudiziaria, questa, nella quale sono stati ingiustamente implicati e condotta con gravi irregolarità che mostrano una volta di più la mancanza di indipendenza del potere giudiziario burundese. L’avvocato congolese incaricato della difesa non è stato accettato dalla Corte Suprema, violando i diritti della difesa a un giusto processo. 

Il controllo della stampa e delle ONG è una triste realtà e le leggi approvate in tal senso tra il 2017 e il 2018 non sono state abolite o minimamente modificate. Esemplare il caso della BBC e di Voice of America sospese per aver effettuato dei reportage sulle gravi violazioni commesse dall’attuale regime.

Normalizzazione internazionale a scapito dei diritti umani
Nonostante questa situazione, è in corso la normalizzazione dei rapporti tra il Burundi e la comunità internazionale. L’Unione Europea, l’8 febbraio 2022, ha annunciato la revoca delle sanzioni della UE contro il Burundi, una settimana prima del vertice Unione africana-UE a Bruxelles. La società ci vile burundese in esilio esprime la sua delusione e preoccupazione temendo che sia percepita dal governo burundese come un segnale di approvazione da parte della UE della sua politica repressiva. “Non si può fare a meno di pensare che la revoca delle sanzioni è contraria ai valori su cui si fonda l’Unione europea”, sostiene Dieudonné Bashirahishize, membro ed ex presidente del Collectif des Avocats pour la Défense des Victimes (CAVIB). “La situazione da cui siamo fuggiti rimane la stessa oggi”, continua.

La Francia ha già ripreso la cooperazione bilaterale nel luglio 2019 rilanciandola sul piano militare. Nel dicembre 2020, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha terminato i rapporti specifici sul Burundi e, nel novembre 2020, il Burundi è stato ufficialmente reintegrato nell’Organizzazione Internazionale della Francofonia (OIF), dopo quattro anni di sospensione. A livello africano, il 27 aprile 2021, il Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana ha terminato la sua missione di monitoraggio dei diritti umani e il Burundi e il Ruanda, da tempo in conflitto, si sono riavvicinati, il che ha immediatamente comportato una limitazione della libertà di espressione per i media indipendenti burundesi esiliati in Ruanda.

Il 24 marzo 2021, Radio Publique Africaine (RPA), Radio-télévision Renaissance e Radio Inzamba hanno dovuto sospendere le loro trasmissioni da Kigali su richiesta delle autorità ruandesi. I loro direttori hanno lasciato il Ruanda e hanno ripreso i loro programmi da paesi terzi. L’ultimo meccanismo d’indagine internazionale ancora operativo sul Burundi, la Commissione d’inchiesta dell’ONU, volge alla fine del suo mandato che non è stato rinnovato. La normalizzazione in corso tra il Burundi e la comunità internazionale rischia di realizzarsi a scapito di un reale miglioramento della situazione dei diritti umani.
Le promesse fatte sono lontane dal realizzarsi.
(Articolo dal Corriere di ACAT marzo 2022)

*tratto da Humains e dalla petizione alla UE promossa da ACAT
Burundi e della Società Civile burundese