Guantanamo bay compie vent’anni
In occasione del ventesimo anniversario della sua apertura, nella prigione militare di Guantánamo Bay continuano a verificarsi gravi violazioni dei diritti umani ad opera del governo statunitense.
Già dai tempi del governo Bush, esperti di sicurezza nazionale ed esponenti politici sostenevano la necessità di chiudere il prima possibile Guantanamo.
A tutt’oggi, ancora 39 uomini di religione musulmana continuano a essere detenuti a tempo indeterminato, in violazione del diritto a un giusto processo (a cui non sono mai stati sottoposti) e di altri diritti riconosciuti a livello internazionale.
Le commissioni militari istituite per processare i detenuti di Guantánamo non hanno garantito agli imputati il diritto a un giusto processo e non hanno fornito giustizia alle vittime e ai sopravvissuti degli attacchi dell’11 settembre 2001.
Amnesty International ha sollecitato il presidente Biden a tenere fede al suo impegno di chiudere Guantánamo una volta per tutte. Più a lungo quella prigione resterà aperta, più a lungo la credibilità globale degli Usa nel campo dei diritti umani risulterà compromessa. Mentre l’esercito americano attaccava l’Afghanistan in risposta agli attentati al World Trade Center del 2001, la Cia ha dichiarato guerra a jihadisti e ai presunti terroristi, raccogliendo in segreto informazioni con metodi coercitivi non convenzionali.
I detenuti di Guantanamo non godevano dei diritti previsti dalle convezioni di Ginevra sui prigionieri di guerra. Nel 2014, però, si è fatta luce sui metodi utilizzati per anni nei confronti dei detenuti.
Privazione del sonno, waterboarding e varie forme di tortura: sono state usate pratiche di interrogatorio estremamente violente e metodi disumani e degradanti, non solo a Guantanamo, ma anche in molte altre prigioni in giro per il mondo. Queste tecniche di interrogatorio potenziato, così vennero definite dalla Cia, avrebbero dovuto condurre a informazioni cruciali sulle trame dei terroristi, ma in realtà si sono dimostrate inutili, anzi controproducenti.
Ne è un esempio il caso di Mohammed al-Qahtani, diventato pazzo per le torture ricevute durante la detenzione a Guantanamo, dove è stato tra i primi prigionieri ed essere rinchiuso, per ben due decenni. Il Pentagono ha deciso in questi giorni di rilasciarlo e di rimpatriarlo in Arabia Saudita, dove sarà curato. Secondo le autorità americane, l’uomo “non costituisce più un pericolo per la sicurezza nazionale”, e può dunque essere liberato. Al Qahtani era stato considerato il “ventesimo uomo” che avrebbe dovuto partecipare al dirottamento del volo United 93. Catturato in Afghanistan nell’autunno del 2001, era stato trasferito a Guantanamo, ma al Qahtani era anche un giovane squilibrato che aveva subito un trauma cerebrale e diagnosticato come schizofrenico.
La sua condizione mentale è sensibilmente peggiorata dopo che gli aguzzini di Camp X Ray lo hanno torturato in maniera sistematica nel 2002 e 2003 nella capanna adibita alle «interrogazioni maggiorate». Nei successivi vent’anni al Qahtani che non comunica più ed è terrorizzato dagli agenti, ha tentato numerose volte il suicidio.
Dei 38 detenuti che rimarranno rinchiusi a Guantanamo, se al Qahtani verrà effettivamente rimpatriato in Arabia Saudita, 12 sembrerebbero, anch’essi idonei al trasferimento. 14, i cosiddetti prigionieri perpetui, sono invece detenuti senza capo d’accusa fuori da ogni legittima procedura penale, ed altri 12 sono stati “rinviati a giudizio” da tribunali militari il cui iter rimane impantanato in un dedalo procedurale senza fine per una sola ragione: le imputazioni si basano su testimonianze e confessioni ottenute con la tortura e quindi non ammissibili come prove. Legalmente, ci troviamo dunque in una terra di nessuno che rappresenta insieme alla ritirata da Kabul, il risultato di vent’anni di politica estera fallimentare, nella gestione del conflitto afgano.
Ben 780 prigionieri sono passati per Guantanamo durante questi vent’anni, 731 sono stati rilasciati o trasferiti e nove sono morti in prigionia. Appositamente classificati come enemy combatants per porli al di fuori sia dallo stato di diritto che dai trattati internazionali sui prigionieri di guerra, quasi tutti sono dunque risultati innocenti rimanendo comunque per lunghi anni prigionieri del paradossale meccanismo che li riteneva «troppo poco innocenti e non abbastanza colpevoli» secondo la indiscutibile discrezionalità del Pentagono o della Cia.
Lo stesso George Bush – in seguito a ben due sentenze della Corte suprema – si era dovuto arrendere e rimpatriare 532 detenuti. Obama, dopo aver promesso di chiudere il campo, aveva firmato un decreto esecutivo in questo senso il giorno del suo stesso insediamento. Il suo tentativo di trasferire molti dei detenuti al sistema penale nazionale è stato fermato dal congresso repubblicano che ha approvato una legge che vietava di portare qualunque imputato di terrorismo in territorio americano – un modo per continuare al alimentare la paura del «pericolo imminente». L’alternativa era il rimpatrio spesso però difficoltoso verso zone di guerra o paesi destabilizzati.
Fra le centinaia di rimpatri sotto la Presidenza Obama c’è stato quello di Mohamedou Ould Slahi in Mauritania (il suo caso divenuto celebre per l’autobiografia ed il film che ne ha tratto Kevin Macdonald, The Mauritanian). E hanno compreso il trasferimento degli ultimi tre (di 12) prigionieri uiguri finiti nelle maglie americane dopo essere fuggiti in Afghanistan per la repressione subita nello Xinjiang ad opera delle autorità cinesi. Resi sostanzialmente apolidi dal gulag dove hanno passato 12 anni, sono infine stati spediti in Slovacchia nel 2013. Guantanamo era offshore, e quindi rispondeva perfettamente ai requisiti di un «buco nero legale», era isolata, e era già servita come centro di detenzione, quando George H.W. Bush vi aveva raccolto i rifugiati haitiani.
Dopo 20 anni di proteste internazionali e denunce di molti gruppi umanitari su ciò che avveniva a Camp Delta, Guantanamo resta aperta, nonostante Barack Obama, nel 2009, ne avesse ordinato la chiusura. Incapace di superare le resistenze di molti Paesi d’origine dei prigionieri e dello stesso Congresso, Obama ha fallito nel suo intento. Nel 2011 ha però creato una commissione incaricata di riesaminare periodicamente i casi dei detenuti, che ha ridotto la popolazione del centro da 245 a 41. Donald Trump invece ha emesso un ordine esecutivo per tenere aperta Guantanamo a tempo indeterminato. Joe Biden durante la campagna elettorale ha ripreso la promessa di Obama, ma a quasi un anno dall’avvio della sua presidenza, sta progettando di costruire una nuova aula di tribunale a Guantanamo Bay. Un passo che segnala l’intenzione ad aprire o continuare i processi degli ultimi detenuti, ma che fa anche presagire che la chiusura di Guantanamo, per ora, non è all’orizzonte.
Carlo Alberto Cucciardi (Articolo tratto dal Corriere di ACAT marzo 2022)
- Fonti:
- Internazionale: La Guerra sporca della Cia al terrorismo dopo l’11 settembre (24.09.21)
- La Stampa: Liberato un prigioniero da Guantanamo: è impazzito per le torture, “non è più un pericolo per la sicurezza nazionale” (05.02.2022)
- Il Manifesto: Stati Uniti. Compie 20 anni il gulag della «war on terror». Dopo l’autorizzazione a rimpatriare il saudita al Qahtani resteranno 38 detenuti, tutti su basi extra legali (12.02.2022)
- Avvenire.it: Guantanamo, a 20 anni dall’apertura rimane imprigionato nelle promesse (10.01.2022)
- Amnesty International: Guantanamo Vent’anni dopo – Gli Usa continuano a commettere gravi violazioni dei diritti umani (10/01/2022)
*Immagine tratta da bbc.com