I figli invisibili delle madri detenute
“La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale”.
Articolo 25 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1948
Lo scorso 17 febbraio davanti al Parlamento il ministro della Giustizia Marta Cartabia ha ribadito il ruolo primario che il problema dei minori in carcere con le madri aveva tra gli obiettivi di governo affermando: “Mai più bambini in carcere. Anche un solo bambino costretto a vivere ristretto è troppo”.
La stessa Corte Costituzionale, già da tempo – sentenza n. 17 del 2017 – , ha affermato che la protezione costituzionale dell’infanzia garantita dall’art. 31 della Costituzione deve prevalere sull’esigenza processuale e sociale della coercizione intramuraria.
Finalmente, dopo oltre due anni di discussione, il 31 maggio scorso la Camera dei deputati ha approvato in prima lettura, con 241 voti favorevoli e 7 contrari, una proposta di legge volta a evitare che i bambini piccoli si trovino a vivere in carcere con le loro madri detenute. Una misura volta, quindi, ad ampliare la tutela dei minori figli di persone sottoposte a misura detentiva attraverso l’esclusione del ricorso al carcere e la valorizzazione degli Istituti a custodia attenuata per detenute madri (ICAM).
I cd. ICAM sono istituti di tipo detentivo realizzati, però, all’esterno delle tradizionali strutture penitenziarie e secondo un modello organizzativo di tipo comunitario con il preciso fine di garantire i minori dalle conseguenze lesive di un’infanzia vissuta in carcere. Le strutture, dotate di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini e prive dei tipici riferimenti all’edilizia carceraria (come le sbarre), sono pensate per creare un’atmosfera il più possibile riconducibile a un ordinario ambiente familiare. Al loro interno gli agenti di polizia penitenziaria operano senza divise e sono presenti operatori specializzati in grado di sostenere le detenute nella cura dei figli e di assicurare regolari uscite dei bambini all’esterno.
Fondamentali per tutelare l’infanzia dei minori, gli ICAM sono ancora troppo poco diffusi sul nostro territorio: attualmente sono solo cinque e hanno una distribuzione totalmente disomogenea (Milano San Vittore, Venezia alla Giudecca, Senorbì in provincia di Cagliari, Lauro in provincia di Avellino e Torino “Lorusso-Cotugno”). Inoltre, in base alle più recenti statistiche del Ministero della giustizia, al 30 aprile 2022 nel complesso delle strutture detentive italiane erano presenti 18 detenute madri con 20 bambini al seguito, di cui solo 14 madri e 14 bambini negli ICAM. (Non sono, invece, disponibili statistiche ufficiali sul numero di donne detenute, con figli al seguito, presenti nelle case famiglia protette che, peraltro, risultano al momento essere solo 2 in tutta Italia (a Roma e a Milano).
Il panorama fin qui delineato rende ancor più evidente l’importanza di una proposta volta a individuare nelle case famiglia protette l’unico luogo idoneo a ospitare i figli dei detenuti e a valorizzare contesti realmente alternativi alla detenzione, incentrati sulla tutela e l’accoglienza dei bambini e sul reinserimento sociale dei genitori al termine della detenzione. Del resto, per cogliere la portata di questo testo è sufficiente elencare alcune tra le novità più significative:
- il divieto assoluto di custodia cautelare in carcere per le madri (o per i padri in via eccezionale) di bambini di età inferiore ai 6 anni;
- la possibilità per il giudice di prescrivere alle detenute madri la custodia cautelare unicamente negli ICAM, come soluzione del tutto residuale in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza;
- l’equiparazione della condizione dell’imputato unico genitore di una persona con disabilità grave a quella dell’ultrasettantenne (per il quale la custodia cautelare in carcere è consentita solo in presenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza);
- l’estensione della possibilità di ricorrere all’istituto del rinvio dell’esecuzione della pena anche al padre di un bambino che abbia meno di un anno (quando la madre sia deceduta o comunque impossibilitata a dare assistenza ai figli) e alla madre (o al padre) di un figlio con disabilità grave che abbia meno di 3 anni;
- la promozione delle case famiglia protette come modello del tutto alternativo alla detenzione e come luoghi costruiti sulla tutela della salute dei minori e del rapporto genitoriale. Il testo di legge prevedeva, infatti, l’obbligo (e non più la facoltà!) per il Ministro della giustizia di stipulare con gli enti locali convenzioni volte a individuare le strutture idonee e per i comuni di adottare i necessari interventi per consentire il reinserimento sociale delle donne una volta espiata la pena detentiva.
La proposta avrebbe avuto un’innegabile portata rivoluzionaria costituendo un grande passo avanti nella tutela dei minori figli di detenuti. Il deputato Siani, firmatario del provvedimento, aveva a suo tempo sottolineato che, con l’approvazione definitiva, le case protette sarebbero diventate l’unica soluzione per far scontare la pena a una donna in gravidanza o con un bambino fino a sei anni di età con esclusione del solo caso di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Verini, il relatore del provvedimento, si era a sua volta augurato che il Senato potesse esaminare al più presto il testo della Camera, la cui approvazione definitiva auspicava avrebbe dato “una spinta al governo e al Parlamento per interventi sempre più urgenti e necessari sulla situazione carceraria, contro il sovraffollamento, per una pena che sia davvero rieducativa e riabilitativa”.
Secondo il normale iter legislativo, il testo avrebbe dovuto passare finalmente all’esame del Senato. La recente crisi e caduta del governo Draghi ha, tuttavia, impedito il via libera definitivo. Si dovrà, infatti, attendere che la nuova maggioranza riesamini il provvedimento che, per il momento, rimane in stand by.
Questa ulteriore dilatazione dei tempi, insieme all’incertezza sul futuro della proposta di legge, lascia ancora una volta da parte i diritti. Dei bambini, in primis, dei genitori detenuti, ma anche di ognuno di noi perché il diritto di ogni bambini all’infanzia, così come il diritto dei detenuti a essere aiutati nel reinserimento sociale, è interesse primario di chiunque viva nella società.
di Paola Maffei*
FONTI
PARLAMENTO.IT, Documentazione parlamentare, Studi, Giustizia: Tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori Disposizioni in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori; Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alla legge n. 62 del 2011, in materia di tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori
https://temi.camera.it/leg18/provvedimento/detenute-madri.html
REPUBBLICA, Basta bambini in carcere con mamme recluse, ok della Camera al progetto di legge
*Laureata in Giurisprudenza ha collaborato con Avvocati di strada Onlus. Associazione nazionale per la tutela legale gratuita delle persone senza dimora. Ha svolto tirocinio formativo presso il Tribunale di Genova, sezione III penale – specializzata per il riesame e fatto pratica forense presso uno studio legale. Appassionata di diritto, segue da sempre l’operato di diverse ong tra cui Amnesty international e Human Rights Watch. Sta studiando per diventare magistrato