OTTOBRE 2014: MYANMAR-GIAPPONE
Il 10 ottobre è stata la 12° Giornata mondiale contro la pena di morte,
come ogni anno ACAT Italia e la FIACAT, insieme alle ONG, le reti, gli attivisti e le organizzazioni abolizioniste di tutto il mondo, si uniscono alla Coalizione mondiale contro la pena di morte e alla mobilitazione generale per l’abolizione di questa pratica crudele e disumana. In particolare, la Coalizione mondiale pone l’attenzione sull’uso della pena capitale nei confronti delle persone con disabilità mentale e intellettiva.
In unione con molte altre ACAT nel mondo, abbiamo deciso di indirizzare il nostro appello mensile al GIAPPONE, paese ove questo fenomeno è, purtroppo, presente, assieme ad USA e Pakistan. Inoltre, il Giappone è stato scelto anche perché, come riportato di seguito, in Giappone esiste una situazione da incubo per i condannati a morte, sottoposti ad un regime estremo di isolamento. I condannati apprendono la data della loro esecuzione solo la mattina dell’esecuzione stessa, un incubo che dura anche decenni e porta spesso alla follia o al suicidio.
MYANMAR: Minaccia giudiziaria e detenzione arbitraria
L’Osservatorio è stato informato da fonti attendibili circa la persecuzione giudiziaria e la detenzione arbitraria della sig.ra. Phyu Hnin Htwe, un’attivista di 22 anni, membro della All Burma Federation of Student Unions (ABFSU), ed ex membro giovanile della Lega Nazionale per la democrazia (NLD).
Secondo le informazioni ricevute, il 13 ottobre 2014, la signora Phyu Hnin Htwe verrà ascoltata dalla Corte distrettuale di Yinmarbin nella Sagaing Division con la falsa accusa di sequestro di persona ai sensi degli articoli 364 e 368 del c.p., per il suo presunto coinvolgimento nel rapimento del 18 maggio di due lavoratori cinesi nei pressi della miniera di rame di Letpadaung vicino allo Hsete Village, Salingyi Township (Sagaing Division). È in stato di detenzione dal 13 settembre nella prigione di Monywa.
Da agosto a dicembre 2012, come membro ABFSU, la signora Phyu Hnin Htwe è stata coinvolta nelle proteste della comunità contro la miniera di rame Letpadaung, una joint venture tra la società cinese Wanbao e l’Unione delle Myanmar Economic Holdings (UMEH), sostenuta dai militari birmani. Infatti, gli abitanti locali hanno inscenato proteste pacifiche contro il progetto della miniera di rame, esprimendo preoccupazione per i danni ambientali, scarsa compensazione per le famiglie sfollate, e impatti negativi ai loro mezzi di sussistenza. Le autorità hanno violentemente represso le manifestazioni in diverse occasioni. Nel novembre 2012, la polizia di Salingyi Township (Sagaing Division ) ha usato granate al fosforo bianco per disperdere una protesta pacifica, provocando lesioni gravi ad almeno 70 tra attivisti e monaci.
La signora Phyu Hnin Htwe, come insegnante volontaria, era nel Hsete Village il giorno in cui i paesani hanno sequestrato un operaio birmano (subito liberato) e due cinesi (rilasciati dopo 30 ore), pur non essendo lei coinvolta nel sequestro.
Il 21 maggio, la Corte distrettuale di Yinmabin ha chiesto i danni a 7 cittadini, compresa Phyu Hnin Htwe (assente in aula), perdonato i cinque imputati presenti.
Il 13 settembre, le autorità hanno arrestato la signora Phyu Hnin Htwe nella sua casa di Patheingyi (Divisione di Mandalay) e la hanno portata al carcere Monywa nella Sagaing Division, dove è stata tenuta in isolamento fino all’udienza 15 settembre, in cui è apparsa senza un avvocato. Il 30 settembre, un giudice della Corte distrettuale di Yinmabin ha negato la richiesta di libertà su cauzione presentata dal suo avvocato. La prossima udienza è fissata per il 13 ottobre 2014. Se condannata, rischia fino a 10 anni. L’Osservatorio e ACAT denunciano con forza la detenzione arbitraria e le minacce giudiziarie della signora Phyu Hnin Htwe, che sembrano costruite per sanzionare le sue attività a favore dei diritti umani e, pertanto, ne chiedono il rilascio immediato e incondizionato.
PENA DI MORTE IN GIAPPONE- Il corridoio dell’angoscia
I detenuti non sono informati sulla data fino al giorno dell’impiccagione. Poiché sono avvertiti solo un’ora prima dell’esecuzione, i condannati non possono incontrare i parenti o presentare un appello finale. Familiari e avvocati sono generalmente informati dopo l’esecuzione, alla quale nessuno di loro può assistere. I detenuti sono rinchiusi in strette celle isolate e monitorati da telecamere 24 ore al giorno. È vietato che parlino tra loro. A meno di recarsi nel bagno, i prigionieri non possono muoversi all’interno della cella e devono restare seduti, inoltre risultano fortemente limitati gli accessi all’aria aperta e alla luce naturale. Rischiano anche pene supplementari se la loro condotta è contraria alle strette regole a cui sono sottoposti.
Il loro contatto con il mondo esterno è limitato a scarse, controllatissime visite di parenti e avvocati che in alcuni casi possono durare meno di cinque minuti. Non sono consentiti passatempi o televisione, è consentito possedere tre libri soltanto, anche se altri possono essere presi a prestito con il permesso del direttore purché il loro contenuto non sia giudicato “sovversivo”. L’esercizio fisico è limitato a due brevi sedute alla settimana fuori dalle celle, quattro pareti massicce e una piccola finestra.
In una recente indagine sui condannati a morte, molti di loro hanno detto che desiderano essere avvisati in anticipo della data di esecuzione invece di essere informati la mattina stessa del giorno in cui stanno per essere impiccati. La maggior parte di loro ha anche chiesto una revisione del metodo di esecuzione, l’iniezione letale al posto della forca.
L’angoscia per questa situazione estrema di detenzione causa nei condannati a morte squilibri psichici che spesso portano al suicidio e alla demenza. Al momento sono 130 i condannati nel braccio della morte, questa condanna è prevista per 13 reati ma applicata solo per i casi di omicidio.
Emblematico è il caso di Hakamada Iwao, che oggi ha 78 anni e ne ha trascorsi 45 nel braccio della morte: durante la prigionia è impazzito e nel 2007 gli è stata diagnosticata l’infermità mentale.
* Come Acat Italia chiediamo ai nostri soci e sostenitori di fare uno sforzo particolare per la questione della pena di morte in Giappone