Mercoledì 14 giugno 2017 la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro (Roma) ha ospitato il convegno Legittimare la tortura? organizzato dai promotori dell’appello Una vera legge sulla tortura. Come ha ben spiegato Pietro Raitano, mediatore del tavolo mattutino, questo appuntamento romano è stato la prosecuzione dell’incontro seminariale Perché non puniamo la tortura? tenutosi a Genova il 15 luglio 2016 nelle sale di Palazzo Ducale. Laddove, stando alle parole della dottoressa Menegatto, “sembra che dietro questo testo non ci sia un lavoro di gruppo, multidisciplinare”, il tavolo ha visto la partecipazione di professionisti ed esperti in ambiti diversi e tutti pertinenti – dalla giurisprudenza alle scienze sociali, fino alla filosofia – a fronte, purtroppo, di un pubblico a dir poco esiguo che ha offerto un’immagine chiara e desolante del ruolo che i diritti umani hanno nel dibattito pubblico e specialistico del nostro paese.
Vittorio Agnoletto, Ilaria Cucchi, Donatella Di Cesare, Riccardo De Vito, Patrizio Gonnella, Lorenzo Guadagnucci, Marina Lalatta Costerbosa, Luigi Manconi, Antonio Marchesi, Giulio Marcon, Marialuisa Menegatto, Tomaso Montanari, Michele Passione, Pietro Raitano, Roberto Settembre, Adriano Zamperini, Enrico Zucca si sono succeduti con un’ottima organizzazione e una notevolissima (com’era prevedibile) professionalità: hanno espresso il proprio dissenso riguardo al disegno di legge 613 bis, il provvedimento che dovrebbe disciplinare il reato di tortura in attesa di essere approvato in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 26 giugno 2017; un baratro legislativo che lo Stato Italiano si trascina dietro dal 1988 e che adesso sembra disposto a colmare nel modo peggiore.
In apertura di lavori Pietro Raitano (citando l’appello Una vera legge sulla tortura rintracciabile sul
sito) ha definito il 613 bis “una legge truffa, inutile e controproducente”, caratterizzata da un “testo provocatorio e inaccettabile” che aprirebbe le porte a quella “china pericolosa”: una discesa velata che conduce a legittimare la pratica della tortura a partire dall’accettazione di alcune sue sfumature e varianti.
Ad aprire il dibattito è stato Roberto Settembre, magistrato del processo definitivo per le torture perpetrate all’interno della caserma di Genova Bolzaneto in occasione del G8 2001: il magistrato ha ricordato l’importanza di vagliare gli astratti principi teorici della giurisprudenza attraverso la lente empirica della realtà; a questo proposito ha precisato che il disegno di legge in questione non riconoscerebbe come tali le torture di Bolzaneto. Alla base di quello che ha definito “aspetto deteriore e truffaldino” del disegno di legge, secondo il magistrato Settembre ci sarebbero una serie di giochi linguistici, “volute derive” concettuali che aprirebbero la strada a troppe valutazioni e interpretazioni possibili e che “vanificherebbero in sostanza il senso della legge”.
A ricordare che “le parole non sono mai innocenti” è stato anche Michele Passione, avvocato del foro di Firenze, che ha posto l’accento su formule come “agire con crudeltà”, “minacce gravi”, “trattamento inumano e degradante”: si è chiesto come possano essere misurabili e definibili una volta per tutte macro-contenitori semantici come “crudeltà” o “gravi”, ed ha evidenziato i rischi impliciti nella transizione dalla dicitura “trattamento inumano o degradante” alla formula “trattamento inumano e degradante”. A proposito di “crudeltà”, il dottor Enrico Zucca (fondamentale Pubblico Ministero del processo relativo ai massacri compiuti la notte del 21 luglio 2001 all’interno della scuola Diaz) ha precisato che l’andamento dello stesso processo Diaz sarebbe stato inficiato da un testo di legge basato su un cappello semantico così ampio e vago: “Un agente dello Stato – è stata la tortura del potere – che esegue ordini non si può dire che agisca con crudeltà”.
Rimanendo in tema di ombrelli semantici, oltre all’avvocato Passione anche Adriano Zamperini (docente dell’Università di Padova) ha messo in evidenza la pericolosità di una formula come “verificabile trauma psichico” presente all’interno del disegno di legge: se per l’avvocato Passione quel “verificabile” starebbe ad indicare una relazione tutt’altro che simmetrica e neutrale tra il legislatore e la vittima di tortura (alla quale viene chiesto di produrre le prove della propria affidabilità, a differenza di quanto accade per altro genere di reati); il professor Zamperini ha ribadito inoltre che questa formula “costringe la vittima” in uno “stato di subordinazione” dal momento che “queste forme di conoscenza sono ritraumatizzazioni che indeboliscono ancora di più la vittima”, e precisa che le sue considerazioni in merito sono il risultato di “una conoscenza scientifica condivisibile” e condivisa, come mostrano le linee guida delineate dal Ministero della Salute a proposito della presa in carico di migranti vittime di tortura nel proprio paese d’origine.
Se, come ha affermato il professor Zamperini, quella in attesa di approvazione è “una legge contro la vittima”, dalla parte delle vittime si è schierata anche la dottoressa Marialuisa Menegatto (ricercatrice dell’Università di Padova) che ha evidenziato l’importanza morale – nonché l’efficacia terapeutica – che avrebbe un adeguato sistema di riparazione come un “fondo di cura per le vittime e le loro famiglie”, purtroppo il disegno di legge non prevede nulla di simile e si configura così come un “ulteriore disconoscimento” della dignità delle vittime.
Nonostante siano stati concordi con le critiche mosse al disegno di legge, Patrizio Gonnella (presidente di Antigone) e Antonio Marchesi (presidente di Amnesty International) hanno dirottato i propri interventi verso toni più pacati: Gonnella ha sospeso il giudizio lasciando agli esperti (ovvero ai parlamentari) il compito di prendere una decisione definitiva in merito; mentre Marchesi ha sostenuto la necessità di una legge ad ogni costo, in quanto strumento utile perlomeno a rendere nominabile la parola tortura, destando così lo sconcerto del PM Enrico Zucca che non solo ha ribadito come l’unica possibile “posizione moderata rispetto alla tortura” sia “mai più”, ma ha anche precisato che con questo testo “il legislatore italiano non si adegua agli obblighi internazionali, ma va contro” e che ciò “non merita alcuna considerazione possibilista”.
La posizione del dottor Zucca è stata supportata anche dal senatore Luigi Manconi che considera il 613 bis in attesa di approvazione “una legge profondamente sbagliata” prodotta da un senso di “sudditanza” della politica italiana nei confronti delle forze di polizia, ed ha sottolineato l’importanza di “vigilare” soprattutto in merito “all’orientamento dell’opinione pubblica, bersaglio di tensioni contrapposte che incrementano confusione” senza produrre informazione adeguata. A ribadire la necessità e l’urgenza di un discorso culturale in merito alla tortura sono stati anche Vittorio Agnoletto, Ilaria Cucchi, Donatella Di Cesare e Lorenzo Guadagnucci, che non smettono di ricordare come un adeguato disegno di legge dovrebbe comprendere anche considerazioni relative alla formazione delle forze dell’ordine.
Il dissenso espresso da Ilaria Cucchi e Lorenzo Guadagnucci rispetto al disegno di legge attuale, inoltre, mostra come le Istituzioni democratiche italiane non abbiano saputo ascoltare le voci delle vittime di quelle torture di Stato che la legge 613 bis dovrebbe tutelare; come infatti ha precisato in chiusura dei lavori Lorenzo Guadagnucci, questo disegno di legge sembra essere il risultato di una “frattura tra istituzioni e società: fra gli organi democratici (i decisori)” e gli studiosi e i testimoni (“custodi di una verità”), una frattura attraverso la quale “il Parlamento si sta rendendo responsabile di un’offesa alla persona”.
Concludiamo con le parole del senatore repubblicano statunitense McCain (vittima di tortura in Vietnam) citate dal PM Enrico Zucca: “La legge sulla tortura impone una riflessione su chi siamo e su quali sono i nostri valori”.
Ilaria Bracaglia