Ottobre 2018: Vietnam-Iran
Vietnam: nel braccio della morte da 10 anni
Ho Duy Hai aveva appena terminato i suoi studi per divenire elettricista quando fu condannato a morte per un duplice omicidio il 22marzo 2008 a 23 anni. Sono dunque dieci anni che egli vive nel corridoio della morte nella prigione di Long An e che la madre Nguyen Thi Loan ogni due mesi si reca all’ufficio del procuratore della Corte suprema a Hanoi, a 1500 chilometri di distanza dal loro villaggio nel delta del Mekong, per depositare invano una petizione per la revisione del processo del figlio.
Nell processo che ha condannato Ho Duy Hai si riscontrano irregolarità, zone d’ombra e vizi di procedura; gli elementi dell’accusa sono deboli, non vi sono prove fisiche della sua presenza nel luogo del delitto, nessuna delle impronte rilevate corrisponde alle sue e i testimoni hanno indicato altri sospetti. Durante la sua detenzione egli ha rivelato alla madre di aver subito violenze e torture per estorcergli una confessione. Questi fatti sono stati riconosciuti dalla Vice presidente del Comitato giudiziario dell’Assemblea Nazionale.
Il Codice di procedura penale del Vietnam proibisce di estorcere confessioni, di torturare e infliggere punizioni corporali agli accusati (Art.10). Malgrado ciò, si ha notizia di molti casi in cui le confessioni sono state ottenute sotto tortura.
Ho Duy Hai è stato nuovamente condannato a morte nel processo d’appello nel 2009. Non si tratta purtroppo di un caso isolato, altri giovani hanno subito e subiscono analoghi trattamenti e sono le famiglie a cercare incessantemente giustizia e ad informare l’opinione pubblica vendendo le loro case per poter arrivare ad Hanoi e presentare le loro petizioni alle autorità giudiziarie.
Queste condanne hanno caratteristiche simili, hanno luogo nelle zone rurali e coinvolgono persone povere e prive di adeguata istruzione e di relazioni che possano essere di aiuto.
In Vietnam il regime autoritario a partito unico comunista dal 1976 controlla il potere giudiziario: giudici e procuratori sono tutti membri del partito; inoltre, di fatto, la situazione sociale degli accusati e delle loro famiglie, le loro relazioni con membri del partito, o la loro etnia influiscono pesantemente sui verdetti.
Iran: Cristiani perseguitati
Il pastore Victor Bet-Tamraz, capo della chiesa evangelica assira di Tehran, è stato arrestato nel 2016 con due seguaci mentre celebrava la Messa di Natale in casa. In precedenza, il governo aveva chiuso la Chiesa assira pentecostale di Tehran e il pastore aveva continuato a officiare in casa. Al momento dell’arresto sono stati sequestrati computer, telefoni, carte di identità e quanto altro poteva servire per dimostrare che il pastore e i due adepti svolgevano attività illegali legate alla diffusione della religione cristiana e alla pratica del culto in casa.
Anche la moglie del Pastore è stata arrestata con l’accusa di organizzare piccoli gruppi di preghiera, diffusione della fede cristiana, partecipazione a seminari religiosi all’estero e istigazione di pastori e convertiti allo spionaggio.
I due neofiti arrestati insieme al pastore hanno effettuato uno sciopero della fame per poter avere accesso alle cure mediche di cui avevano bisogno.
Condannati in prima istanza a varie pene tra i 5 e i 10 anni di prigione, sono stati successivamente liberati su cauzione dietro pagamento di cospicue somme di denaro, e sono in attesa del l’esito del processo di appello.
Nell’agosto 2016, è stato arrestato il figlio del pastore con le solite accuse di diffusione di credo religioso illegale. Unica della famiglia a piede libero la sorella Dobrina, rifugiatasi in Svizzera, da dove ha rivolto un’ interrogazione al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU a Ginevra denunciando le limitazioni e la persecuzione giudiziaria nei confronti dei familiari e in generale nei confronti delle minoranze cristiane evangeliche, ortodosse, cattoliche di rito caldeo e assiro in Iran.
Formalmente, l’Iran riconosce il cristianesimo ma non tollera attività di diffusione e proselitismo. I convertiti sono particolarmente presi di mira. Negli ultimi dieci anni si è verificato un aumento notevole di casi di persecuzione volti a scoraggiare la conversione al cristianesimo mettendo in essere gravi limitazioni alla libertà di culto e alla libertà personale.