La tesi vincitrice del 2018. Un abstract

La tutela dei diritti dei detenuti nell’Italia post-Torreggiani: Analisi della disciplina dei reclami e dei rimedi alla luce della giurisprudenza CEDU in tema di sovraffollamento. Di Olga Cardini
La mia tesi di laurea si propone di analizzare l’impatto sul sistema penitenziario della sentenza Torreggiani e altri, con cui la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia nel gennaio 2013, per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
L’impulso per tale ricerca è nato da esigenze di ordine pratico e interpretativo che ho riscontrato durante la mia attività di assistenza legale ai detenuti del carcere “Dozza” di Bologna, come volontaria dell’associazione L’Altro Diritto ONLUS. 
Il problema del sovraffollamento carcerario, infatti, oltre ad essere una realtà che affligge centinaia di persone che vivono e lavorano all’interno delle carceri nel nostro Paese, è oramai convenzionalmente riconosciuto come un fenomeno in violazione dell’art. 3 CEDU, che sancisce il divieto di pene o trattamenti inumani o degradanti. L’analisi delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’uomo risulta fondamentale per inquadrare con precisione i criteri in base a cui si configura una violazione del diritto protetto dall’art. 3 CEDU: oltre a stabilire che la reclusione in uno spazio inferiore ai tre metri quadri si traduce nella sottoposizione del detenuto a trattamento inumano o degradante, i Giudici sottolineano la necessità di prendere in considerazione altri indicatori, come l’accesso alla luce e all’aria naturali e il rispetto delle regole sanitarie di base. Inoltre, utilizzando lo strumento della sentenza-pilota, la Corte di Strasburgo ha stabilito l’obbligo per il legislatore italiano di intervenire sulla questione.
In ottemperanza all’ultimatum imposto da Strasburgo, il Parlamento ha tentato da un lato di ridurre il numero dei soggetti in ingresso nelle carceri e dall’altro ha introdotto un rimedio preventivo e uno compensativo, attivabili dal detenuto in caso di pregiudizio ai suoi diritti. Nello specifico, il reclamo giurisdizionale (art.35 bis o.p.) si rivolge a persone detenute che abbiano subito una lesione di un diritto fondamentale in seguito a un provvedimento o a una condotta illegittima dell’amministrazione penitenziaria: se il magistrato accoglie il reclamo, si configura in capo all’amministrazione l’obbligo di porre rimedio al grave pregiudizio sofferto dal detenuto ricorrente. Diversamente, il rimedio risarcitorio (art.35 ter o.p.) prevede in favore dei detenuti che abbiano subito un trattamento in violazione dell’art. 3 CEDU una riduzione della pena ancora da espiare pari ad un giorno per ogni dieci durante i quali è avvenuta la violazione e, per coloro che non si trovano più in stato di detenzione, un risarcimento monetario pari ad 8,00 euro per ciascun giorno.
Le successive sentenze della Corte europea dei Diritti Umani e la Risoluzione del Comitato dei Ministri del marzo 2016 promossero le riforme approvate dal Parlamento italiano, nonostante appaia chiaramente che i rimedi introdotti dal legislatore sono estremamente carenti dal punto di vista dell’effettività della tutela. Peraltro, l’aumento dei detenuti registrato nei tre mesi precedenti alla decisione del Consiglio d’Europa indicavano che l’Italia non poteva certo considerare il sovraffollamento un problema risolto. Al riguardo, la dottrina più critica parla chiaramente di scelte politiche: la solidarietà tra Stati europei si è tradotta in uno “scrutinio a maglie larghe” nei confronti del nostro Paese, in modo da garantirsi a vicenda la stessa elasticità di giudizio, soprattutto considerando il fatto che le condanne espresse dalla Corte di Strasburgo negli ultimi anni dimostrano come il sovraffollamento carcerario non sia di certo un problema solo italiano.
Da questo punto di vista, la legge 23 giugno 2017, n. 103, che al momento della scrittura della tesi non era ancora stata approvata, e le proposte di riforma che sono seguite – il cui iter non è ad oggi giunto a termine – rappresentano senza dubbio un segnale innovativo, quanto meno per la consapevolezza culturale ad essi sottostante, che risulta orientata all’individualizzazione del trattamento rieducativo e al principio dell’umanità della pena.