Moratoria sulla pena di morte, un altro passo avanti
Il 16 dicembre l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA) ha votato, a larga maggioranza (123 voti favorevoli), la delibera per la moratoria sull’applicazione della pena di morte. Condividiamo di seguito il comunicato diramato da FIACAT
La Coalizione mondiale contro la pena di morte e i suoi membri, compresa la FIACAT, si congratulano vivamente con l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGA), per l’adozione, a larga maggioranza (123 voti favorevoli), della delibera per la moratoria sull’applicazione della pena di morte, del 16 dicembre 2020.
Dal 2007 sono state adottate otto risoluzioni per una moratoria sulle esecuzioni, con un graduale aumento del numero dei voti a favore, passando da 104 nel 2007 a 123 nel 2020. Al contrario, diminuisce ancora un po’ il numero di Stati la cui legislazione prevede ancora la pena di morte, così come il numero di Stati che continuano ad applicarla. Solo una piccola minoranza di Stati non abolizionisti ha attuato la pena di morte nel 2019-20. La pandemia di Covid-19 ha mostrato al mondo quanto sia fragile e preziosa la vita umana. Durante quest’anno, la maggior parte dei governi ha implementato misure eccezionali per cercare di contenere la diffusione del virus tra la popolazione e garantire a tutti il diritto alla vita.
Le misure di contenimento, adottate per salvare vite, a volte sono state applicate in maniera contraria rispetto alle intenzioni originali. Questa sfida globale, infatti, non ha impedito che la pena di morte venisse comminata in maniera virtuale o che una condanna a morte venisse eseguita nel rispetto delle regole di distanziamento sociale. Oggi più che mai, l’esecuzione di un individuo calpesta la dignità dell’umanità intera, per cui sollecitiamo gli ultimi 56 Stati non abolizionisti del pianeta ad ascoltare l’appello dell’UNGA a fermare le esecuzioni.
Il diritto alla vita, connaturato ad ogni individuo per il solo motivo di appartenere al genere umano, deve essere garantito in ogni circostanza e non può dipendere dal suo status, dalle sue scelte, dai suoi comportamenti o dalle sue azioni. In questi tempi difficili, i governi dovrebbero dedicare tutti i loro sforzi a salvare il maggior numero possibile di vite, e non aggrapparsi ad un potere, antiquato e arbitrario, di vita o di morte, che non può in alcun caso costituire un motivo ragionevole per violare i diritti umani più elementari.
Quest’anno si è aperto con una crisi senza precedenti, ma speriamo che la nuova risoluzione contribuisca a rendere il 2021 un anno più rispettoso della dignità umana. Non è mai stato dimostrato che la pena di morte abbia un particolare effetto deterrente; colpisce in modo sproporzionato gli individui più poveri; è molto spesso uno strumento di repressione politica, a disposizione di governi autoritari contro le minoranze; può portare alla condanna a morte di persone innocenti, a cui né la commutazione, né la grazia, né il processo d’appello, possono porre rimedio; non riesce a ottenere il sostegno unanime delle famiglie delle vittime.
Una condanna a morte non rende onore né alla democrazia né alla giustizia, due valori ai quali la comunità internazionale è profondamente legata. Per questo invitiamo tutti gli Stati che hanno votato a favore della risoluzione, ma che comunque prevedono la pena di morte, a non limitarsi a una moratoria di fatto sulle esecuzioni e ad adottare tutte le misure necessarie per promuovere , formalmente e senza riserve, la sua abolizione per legge.
I detenuti nel braccio della morte vengono marginalizzati, dimenticati e disumanizzati, benché nessun essere umano meriti un tale destino. Non c’è alcun dubbio che il mondo potrebbe essere migliore senza la pena di morte. Abbandonando l’uso della pena di morte per tutte le circostanze, la maggioranza dei 106 Stati membri delle Nazioni Unite ha convenuto che l’abolizione non rappresentava affatto una debolezza politica e che nessun bene poteva emergere da un sistema forgiato con la violenza e che si assume il rischio di decisioni irreversibili. Chiediamo quindi a tutti gli Stati che non lo hanno ancora fatto di rivedere la loro posizione e di intraprendere la strada dell’abolizione totale abbandonando una punizione che tradisce ciò che le nostre società meritano di più: una giustizia giusta, per tutte e per tutti.